L’altra mattina al bar (due giorni dopo l’eliminazione dell’Italia dai Mondiale 2018), c’era la Gazzetta dello Sport già aperta su un tavolo che ha richiamato la mia attenzione per il titolo di un articolo di Sebastiano Vernazza: “La tristezza dei bambini: Papà, abbiamo perso il Mondiale!”. Dopo averlo letto, ho capito che l’autore si dispiace per i bambini a cui è stata tolta l’attesa del Mondiale.
Io penso che il giornalista abbia spostato sui bambini un senso di disperazione che invece appartiene a certi adulti che hanno un tasso troppo elevato di calcio nel sangue.
A scuola non ho visto bambini tristi dopo l’eliminazione dell’Italia perché i bambini non sono calcolatori opportunisti, non ho constatato delusioni perché i bambini si divertono anche con tante altre cose, non ho visto facce tristi perché ciò che rallegra i bambini è stare in compagnia dei loro amici per divertirsi.
Non ho potuto fare a meno di notare che la partita Italia Svezia si è svolta nella giornata mondiale delle gentilezza (13 novembre); al mattino ne abbiamo parlato a scuola con i bambini e mi sembrava di aver creato una bella discussione perché ne è scaturita una bella riflessione.
Poi alla sera, è bastato ascoltare e vedere in televisione pochi minuti di fischi assordanti da parte dei cosiddetti “tifosi” italiani durante l’inno nazionale svedese per mandare a quel paese un lavoro faticosamente costruito la mattina.
Alla mattina a scuola abbiamo provato faticosamente a ragionare e a mettere in pratica esempi di “rispetto” verso gli altri e poi alla sera abbiamo verificato come, nello sport più diffuso nel nostro paese, il modello proposto è quello di cosiddetti tifosi che mettono in atto esempi di “mancanza di rispetto” verso gli altri.
Quale saranno le cose che ai bambini rimarranno di più?
Un esempio di sincerità verso gli altri oppure una simulazione che ottenga favori? Un comportamento onesto verso i compagni o un’infrazione per impedire all’avversario di giocare?
Mi auguro che i modelli che si insegnano a scuola siano quelli che gli rimarranno ma è molto difficile e faticoso farlo in condizioni simili.
Mi chiedo che cosa insegni di buono questo tipo di calcio ai bambini?
A vincere a tutti i costi, a non accettare i propri limiti, a denigrare gli avversari, a commettere scorrettezze, a non rispettare l’arbitro? Credo che sia opportuna una seria riflessione, ad ampio raggio, non tanto sulla sconfitta dell’Italia ma sulla sconfitta della sportività.
Sarà per questo che preferisco di gran lunga il rugby.
Sarà anche per questo che penso che la maestra elementare Rosaria Gasparro abbia scritto un pensiero di una lucidità eccezionale, di una profondità immensa in merito al bisogno di educare i giovani anche al valore della sconfitta. A mio modesto avviso, esso dovrebbe essere inserito nella premessa ai Programmi di Studio di qualsiasi scuola ed appeso nei locali di una qualsiasi società sportiva.
Ecco il suo pensiero che condivido completamente: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.”
Sarà ancora per questo che credo che Pier Paolo Pasolini, nel numero 42 del settimanale Vie Nuove del 1961, abbia migliorato il dizionario spiegando, in modo straordinario, cosa voglia dire essere onesti. Ecco la sua frase: “Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”
Comunque la pensiate buona pratica sportiva, ma “buona” veramente.
scritto da Mauro Presini
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