Nelle opere del filosofo indo-catalano si approfondisce l'aspetto mistico del dialogo tra diverse confessioni: “i cristiani non possono avere il monopolio della conoscenza di Dio; si tratta, invece, di spiegare come il mistero che i cristiani chiamano Cristo si manifesti in altre religioni. Queste non parlano di Cristo, ma hanno diversi simboli cui attribuiscono una funzione salvifica equivalente a quella di Cristo. Al contempo, il “Cristo sconosciuto” delle altre religioni è veramente sconosciuto ai cristiani: quel che rappresenta Cristo nelle altre fedi va confrontato con quello che possono rappresentare i simboli degli altri all'interno del cristianesimo”.
Secondo Panikkar solo così, il dialogo spirituale può diventare realmente fruttuoso. Per questo egli auspica incontri non dogmatici, ma semplice condivisione di attività quotidiane poiché i più semplici atti di socialità spesso si rivelano i più importanti e potenti esempi di dialogo. Si lascia questo importante argomento alla competenza teologica e qui si considera di Panikkar soprattutto l'espressione sociologica di mutua fecondazione come sintesi ideale del dialogo nel pluralismo antropologico-culturale moderno (Panikkar, 2000a--2013).
Panikkar considera il dialogo fra tradizioni lontane una via obbligata per i nostri tempi dato che reputa inevitabile un cambio radicale di civiltà nel senso dell'humanum, per scongiurare una catastrofe di proporzioni cosmiche. In senso panikkariano, il dialogo non serve solo a scongiurare i conflitti etnici o confessionali; non è solo questione di tolleranza, ma di una nuova visione spirituale. Dialogando con gli altri, i cristiani possono scoprire ricchezze insospettate nella loro stessa religione dato che «spesso l' ospitalità è la strada della verità». Il dialogo fra religioni, infatti, libera le energie spirituali dalle rigidità dottrinali e crea nuove connessioni che superano tutti i confini: da qui passa la via verso «una nuova religiosità, le cui forme sono da trovare».
Panikkar è convinto che il dialogo spirituale sia la chiave di volta per ogni altro tipo di dialogo, anche politico, sociale, etico. Un dialogo aperto fra persone che abbiano a cuore le domande fondamentali sulla realtà può coinvolgere chiunque, scavalcando le divisioni ideologiche o filosofiche. «Se è un dialogo sulle questioni ultime di vita e di morte», scrive, «allora un umanista, un marxista, uno scienziato ha lo stesso titolo per parlare di qualunque persona cosiddetta religiosa»; così il dialogo può estendersi a ogni questione, dal rapporto dell'uomo con la Terra a quelli fra i popoli e fra le persone Panikkar, 2001; 2005b).
Nel rapporto fra spiritualità e politica il dialogo diviene più complesso essendo difficile separarle, così come ogni laico tradizionalmente ritiene giusto che sia. È una “religione” che vive nelle coscienze di quanti ne percepiscono la presenza nelle vicende terrene.
Quella di Panikkar non è una posizione marginale, molti cattolici leggono la stessa visione nel pontificato di Giovanni Paolo II e in quello di Francesco (nel discorso pronunciato il 5 ottobre del 1995, Giovanni Paolo II all'Onu aveva ricordato, con visione non lontana da quella panikkariana, che: «è possibile intendersi su una base comune condivisa, perché la legge morale universale scritta nel cuore dell'uomo è quella sorta di 'grammatica' che serve al mondo per affrontare la discussione circa il suo stesso futuro»). È una fase propositiva che ha come naturali i confini che la libertà dà a se stessa: non lo scadimento nella centralità del proprio io e nell'autoindulgenza, ma l' autodeterminazione guidata e in qualche modo limitata dai valori (Panikkar 2011-2013).
La forza del dialogo non si misura sull'elenco dei successi e delle realizzazioni. L'ultimo ventennio ha messo al centro la forza di costruire ponti anche in situazioni difficili, di creare speranza anche in situazioni disperate. Eppure le guerre continuano, ma come sarebbe stato il mondo senza dialogo?
Fonti
- Panikkar 2011-2013
- Panikkar, 2001; 2005b
- Panikkar, 2000a--2013
scritto da Alessandro Bruni