Le immagini che vengono in mente a molti di noi quando parliamo del sedicente Stato Islamico sono le decapitazioni, le uccisioni brutali e le minacce di uomini incappucciati che agitano aggressivamente un coltello di fronte alla telecamera. Tuttavia, ciò che vediamo sui nostri media è soltanto una parte di quello che il Califfato vuole comunicare. All’interno della grande quantità di materiale diffuso da ISIS ci sono, infatti, i giovani jihadisti che distribuiscono caramelle ai bambini, i combattenti che cucinano insieme una cena, i dottori si prendono cura dei pazienti nonostante i bombardamenti o i cittadini comuni che giurano di sentirsi sicuri da quanto ISIS ha preso possesso dei luoghi in cui vivono. Una propaganda psicologica che serve a trasmettere un’immagine positiva del Califfato: quella di una terra accogliente, dove è finalmente possibile per i musulmani sentirsi pienamente realizzati ed essere felici.
Un'altra propaganda non meno subdola ed efficace si è sviluppata sugli aspetti più tipicamente psicologici individuali attraverso i media. Non ci sono dubbi, recentemente l'Isis si è imposto all’attenzione dei mezzi di comunicazione. Per comprendere la sua presenza a livello comunicativo bisogna analizzare almeno tre aspetti:
1. Il rapporto fra individualismo e senso di appartenenza a una comunità. In Occidente l'individuo ha un'impronta personale fortemente individuale essendo portatore di desideri propri. Ogni individuo ha il diritto di ricercare personalmente la propria felicità. L’uomo occidentale si sente sempre più marginalmente facente parte di una comunità religiosa, politica o territoriale e sempre più cittadino di un mondo globale in cui, da solo, deve cercare un suo spazio vitale. L'individuo che aderisce all'Isis è, al contrario, portatore di un messaggio indistinto comunitario, nel quale l'individuo è fortemente parte di un insieme dove l'individualità personale è secondaria.
2. Le dinamiche di gruppo. Quando un individuo va a far parte di un gruppo, assume alcuni “assunti di base” che corrispondono a una mentalità fatta di impulsi irrazionali, pensieri e desideri. Uno di questi è quello di dover lottare contro un nemico. Diviene importante a livello di gruppo sentirsi uniti contro un nemico comune. È un meccanismo di delega al gruppo del nostro disagio, della nostra funzione desiderante per sentirci in pace con noi stessi. Il senso d’ansia, che prima ci attanagliava, improvvisamente si placa. Lo stesso meccanismo, d’altro canto, lo vediamo anche nella nostra politica quando gruppi enormi di persone seguono un leader che riesce ad indicare un avversario, come ad esempio i rom o gli immigrati, e incanala in questo modo l’ansia collettiva verso un nemico idealizzato contro il quale si scaricano le ansie esistenziali del popolo minuto.
3. Il consumismo. La società consumistica si basa sulla necessità che i consumi aumentino sempre, per cui è necessario indurre l'individuo a desiderare nuovi beni produttivi ovvero di porlo in una condizione esistenziale di sofferenza perenne. Chi è felice, o chi è disperato, non desidera e non compera. Chi desidera compera. Questa insoddisfazione esistenziale è una componente fondamentale del consumismo e pervade la società capitalistica. Il messaggio essenziale dell'Isis è invece basato sulla semplicità e sulla delega del desiderio a qualcosa che trascende come può essere l’immagine di Dio e il trionfo di un’idea nel mondo. La forza che esprime si manifesta nella possibilità che un singolo, per il bene comune, decida di perdere la propria vita facendo il kamikaze.
Da un punto di vista psicologico questi tre aspetti esprimono la ribellione dell’Es rispetto al Super Io. L’Es è un insieme inconscio di bisogni e desideri che spinge verso il ritorno allo stato primitivo indifferenziato da cui proveniamo. Il Super-Io, in parte inconscio ma soprattutto cosciente, è quella componente psicologica che ci detta le regole morali e le proibizioni. L'Isis libera i suoi militanti dalle proibizioni del Super-Io per permettere di dispiegare le pulsioni di base dell’Es.
Questi aspetti psicologici sono stati studiati da Bion (2013). Egli definisce il gruppo come un sistema composito integrato nel quale le distinte dinamiche dei componenti contribuiscono alla costituzione in apparato psichico sovraordinato all'individuale. Il gruppo di Bion, come nell'Isis, è senza leader, senza un compito preciso da svolgere, senza uno scopo definito nel dettaglio. In questo tipo di società anche il capo o i capi sono parte di una massa indistinta e amalgamata in cui tutti si sentono facenti parte di un unicum omogeneo. In quest'ultima condizione il messaggio dell’appartenenza ha un grande fascino perché dà modo a individui con ancora debole identità personale di sentirsi forti in quanto appartenenti ad un gruppo forte. È un fenomeno ben noto anche in Occidente nella formazione di bande tematiche, come ad esempio gli ultras del calcio (Buford, 2008). La forza attrattiva dell'Isis è quella di fornire un punto di riferimento che offre sicurezza rispetto all’incertezza dell’individualismo e alle sfide dell'essere solo di fronte al mondo, tipico “status” della società occidentale.
Queste condizioni permettono la rappresentazione esterna dell'insieme unito e forte rispetto all'individualità di ciascun componente che così può dare espressione a parti della sua personalità in conflitto con i compromessi necessari alle relazioni inter-individuali. La dinamica di gruppo dell’Isis si avverte in modo emblematico nelle esecuzioni collettive in cui un “noi indistinto” sgozza un “loro altrettanto indistinto”. La ferocia è espressione e forza del gruppo che, al contrario del singolo, non si fa impietosire e non attua dei distinguo scacciando da sé il senso di colpa che, quindi, singolarmente non viene avvertito.
scritto da Alessandro Bruni