Pubblichiamo l’intervento di Corrado Oddi, esponente del Movimento per l’Acqua Pubblica e amico del grande giurista scomparso, all’incontro pubblico, in programma il 27 novembre presso la Camera dei Deputati, dal titolo “La vita prima delle regole: Idee ed esperienze di Stefano Rodotà”.
Nei giorni successivi alla morte di Stefano Rodotà, in diversi mi hanno detto che lui era un uomo d’ altri tempi, di un passato che è alle nostre spalle. Senz'altro molti altri l'hanno pensato, in un'accezione positiva rispetto al decadimento della politica cui assistiamo quotidianamente. Questo è certamente vero se ragioniamo sul fatto che la politica per lui – come, per fortuna, per molti di noi - era occuparsi di un progetto di società, di costruzione della polis e non il chiacchiericcio basato su 140 caratteri lanciato un po' prima delle edizioni serali dei telegiornali e destinato a durare lo spazio tra un aggiornamento e l'altro dei maggiori quotidiani online. Si potrebbe usare questa definizione, di uomo d’ altri tempi, anche per parlare della sua personalità.
Stefano riusciva ad essere contemporaneamente gentile ed intransigente, nel senso di essere fedele ad alcuni principi di fondo, in qualche modo non negoziabili, allo stesso modo di come ci ha detto e scritto tante volte a proposito del tema dei diritti. Era una persona disponibile e anche capace di vera indignazione. Disponibile, nel senso che aveva una gerarchia seria dell'utilità del suo impegno, per cui, per lui, partecipare ad un convegno con interlocutori importanti sui temi che gli stavano a cuore aveva un valore comparabile a tenere una lezione agli studenti sui temi costituzionali. Capace di indignarsi, quando si avanzavano argomentazioni, non che contraddicevano, ma che distorcevano completamente ragionamenti e approfondimenti su cui lui ed altri avevano lavorato con passione.
Eppure, se ritorno al rapporto avuto da Stefano con il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, non posso non pensare che questa raffigurazione stia un po' troppo stretta al suo pensiero, al suo lavoro e al suo modo di essere. E questo perché l'incontro tra il movimento per l'acqua e Stefano non è stato semplicemente una relazione tra un movimento sociale significativo e alcuni giuristi, lui ma anche altri, come Gaetano Azzariti e Alberto Lucarelli, in particolare in occasione di un momento certamente importante com'è stato la preparazione e lo svolgimento dei referendum del 2011, e non si è certamente esaurito in un supporto tecnico-giuridico a quell'appuntamento.
In realtà, quell'incontro fecondo è stato, e non penso di enfatizzare, quello tra una nuova elaborazione teorica e una nuova pratica sociale. Da una parte chi, Stefano in primo luogo, era venuto proponendo la categoria dei Beni Comuni, che - come ebbe modo di spiegare più volte e come percorre tutto il testo predisposto dalla Commissione Parlamentare che porta il suo nome - non era una semplice aggiunta alle categorie classiche dei beni privati e dei beni pubblici, ma un approccio completamente innovativo, rivoluzionario rispetto a quella suddivisione. Dall'altra, il movimento per l'acqua, altrettanto inedito, sia per il contenuto, specifico ma capace di muovere una critica radicale all'insieme del modello neoliberista, sia per le forme, provando cioè a sperimentare una modalità orizzontale e condivisa nella costruzione delle proprie scelte.
La crescita e la diffusione di quell'esperienza, fino alla straordinaria vittoria referendaria del 2011, non sarebbe comprensibile al di fuori di quel quadro, quello appunto della produzione di un nuovo pensiero e di una nuova prassi, a conferma, se ce ne fosse bisogno, che entrambi questi ingredienti sono fondamentali nella costruzione e nell'affermazione di processi sociali e politici di una qualche rilevanza. Categoria dei Beni Comuni – vale la pena ricordare - che si distingue da quella dei Beni Pubblici, non solo perché parliamo di beni ad appartenenza collettiva, fondamentali per l'esercizio dei diritti fondamentali, ma perché, superando la centralità della forma proprietaria nella definizione dei beni, faceva assurgere a questione decisiva quella della gestione partecipativa degli stessi e dei servizi pubblici ad essi inerenti. Una base teorica che, probabilmente non casualmente, poteva fungere e costituì sul serio una linfa vitale per un movimento che si stava strutturando e che stava proprio facendo l'esperienza, nel vivo dello scontro sociale e politico, delle nefaste conseguenze di cosa vuol dire privatizzare l'acqua e il servizio idrico. E di come il capitalismo finanziario – come appare sempre più evidente - dimostrava una forte pervasività nell'invadere e plasmare sulla propria logica beni essenziali per la vita come l'acqua, e, alla fine, la vita stessa.
Ora, non c'è dubbio che sia quella costruzione teorica che lo stesso movimento per l'acqua stiano vivendo un momento di ripiegamento. Non è certo lo scopo di queste mie scarne riflessioni proporre una lettura del perché ciò stia avvenendo. Non c'è dubbio, però, che la teoria dei beni comuni sia stata svilita, contemporaneamente, dalla banalizzazione della riflessione di fondo che l'animava e dall' “inflazione” del suo uso - tutto sembra diventato bene comune, persino un programma elettorale. D'altro canto, il movimento per l'acqua, che continua ad esistere e produrre iniziativa, a partire dai territori, non ha più la capacità di attrazione e, soprattutto, di paradigma degli anni che l'hanno portato alla vittoria referendaria del 2011, ferito da chi, scientemente, ha voluto dirci che neanche l'espressione della maggioranza assoluta dei cittadini italiani conta, da chi, ancora una volta, ha voluto lanciare il messaggio che non c'è alternativa al dominio del mercato e alla sua presunta “naturalità”.
Continuo però a rimanere convinto che quella non sia stata semplicemente una stagione felice, ma conclusa. In realtà, essa e chi l'ha prodotta - la teoria dei beni comuni e i movimenti sociali che stanno su quel terreno, a partire da quello dell'acqua - hanno colto e sviluppato intuizioni, riflessioni e pratiche che hanno una “strutturalità”, una persistenza nel mondo contemporaneo e che ci accompagneranno ancora per lungo tempo. Non siamo, cioè, stati in presenza di una sorta di congiuntura straordinaria, che ha percorso la sua parabola, quanto piuttosto dall'emergere di questioni di fondo che riguardano l'insieme del modello sociale, quelle che, da una parte, hanno a che fare con i diritti fondamentali, con i beni essenziali per la vita e la convivenza sociale e, dall'altra, con l'intenzione di assoggettarli al mercato e all'appropriazione privata.
Questioni, insomma, che continuano ad essere in campo e che ritornano, magari in modi e con svolgimenti diversi. Basti pensare, ad esempio, ai processi che sono in corso e che definiamo con la terminologia di cambiamento climatico, che ci riportano esattamente al tema della tutela della vita delle popolazioni e del pianeta e alla sua incompatibilità con un modello produttivo e sociale guidato dalla massimizzazione del profitto. In questo senso, l'esperienza condotta sulle questioni dell'acqua e dei bei comuni non appartengono al passato, ma ci parlano del futuro.
Proprio per questo, per il contributo decisivo che ad esse ha dato Stefano, mi sembra necessario rettificare l'idea di Stefano come uomo d'altri tempi. No, Stefano è stato una persona che parlava e guardava al futuro: almeno a me sembra giusto ricordarlo così, e sono convinto che anche a lui sarebbe piaciuto così.
discorso pronunciato da Corrado Oddi, alla Camera dei deputati il 27 novembre 2017