Non so se sia proprio bene che i figli adolescenti imparino a farsi il letto. Invero, non so se sia bene avere il letto rifatto. O male il lasciarlo sfatto. Insomma: non so se gli adolescenti debbano imparare qualcosa, o ancor più, se dobbiamo esser qui, pronti a insegnarglielo.
Si dirà che non è la posizione ideale per un insegnante, che lo Stato immagina (e paga) per insegnare e, oggi sempre più, anche per educare. Se la serva non serve, meditava Totò, che serve a fare?
Ma il fatto è che, come suggerisce David Bainbridge in "Adolescenti. Una storia naturale" (Einaudi), la specie umana possiede una caratteristica particolare: la vita dei suoi membri adulti proseguirebbe ben oltre la fase della fecondità riproduttiva per adeguarsi al compito preciso di tramandare non solo il patrimonio genetico, ma anche quello culturale.
L'educazione è scritta nelle nostre viscere e, mi verrebbe da dire, accade comunque. Dunque, perché tutto questo accoramento? Questa moltiplicazione di consigli, libri, corsi per insegnanti e genitori, e blog pieni di post simili a questo?
Un amico, preside illuminato e divergente, dice che dovremmo dare la possibilità ai ragazzi di ripudiare l'educazione ricevuta, di prendere la distanza dal contenuto della nostra cura. E' forse un modo per metterci in guardia dall'eccesso di accanimento educativo, o peggio dalla pretesa di essere sempre e comunque valenti educatori, o dall'ignoranza delle motivazioni che ci spingono a dirci tali.
Mi sembra che l'educazione possa essere come la comunicazione teorizzata da Palo Alto: non si può non educare. Anche il silenzio o l'immobilità comunicano; mi affascina così la prospettiva che l'educazione possa adottare come cuore profondo il "lasciar essere".
scritto da Giovanni Realdi