Il clamore sollevato dall'articolo di Repubblica che avrebbe spulciato tra i RAV (Rapporto di Autovalutazione) di alcuni "super" Licei italiani, e quindi avrebbe messo in evidenza i toni classisti impiegati in quei documenti, mi pare getti un poco di luce sul nostro modo di parlare di scuola.
Dico "avrebbe", perché non mi sono preso la briga di "pagare il primo mese gratis" per leggere il pezzo che ha dato origine all'indignazione. E quindi: di che vuoi parlare, se non sai. Ho cercato al contrario di leggere alcuni dei documenti, come si dice, incriminati, giacché sono disponibili.
Non so se il giornalista non abbia dimestichezza con la scuola (non se ne occupa abitualmente? Non ha figli? Non ha frequentato una scuola superiore?), ma mi pare lampante che quanto riportato in quelle striminzite e burocratiche colonnine non nasconda il manifesto dell'eversione neoclassista che dilaga nei licei italiani, ma il risultato di una dinamica drammaticamente fisiologica, che tento di descrivere. Entro la fine del mese di giugno, la scuola (per es. il blasonato liceo "Serbelloni Mazzanti" di Milano) deve pubblicare il documento chiamato RAV, utilizzando la strumentazione on line prevista dal Ministero. Finirà sul portale "Scuola in chiaro" che sarà accessibile ai genitori alla ricerca di orientamento. Dunque, chi lo fa? Nell'olimpico istituto ci dev'essere un nucleo di valutazione, composto da insegnanti, genitori e studenti. Presumo che ivi se ne parli, a grandissime linee (cioè dicendo: faremo vedremo) e quindi, sotto il sole di Giunone, tallonato dall'Esame incombente, qualcuno dei docenti - sempre gli stessi, si badi, perché la scuola è un organismo a responsabilità limitata - e di cui il dirigente si fida ciecamente, butterà dentro dei dati, seguendo le indicazioni ufficiali e cercando di non scrivere scempiaggini meste.
Eh, si dirà, ma quanto il giornale riporta del Serbelloni non è una scempiaggine, ma è pura volontà-anticostituzionale-di-esclusione-dei-più-deboli! Al Serbelloni, si sa, ci va solo la milanobene, "quelli che cianno i soldoni" e che non desiderano avere zavorre che ritardino la conoscenza della Verità e il superamento eroico dell'Esame di stato. Perché questo si sa? Perché lo strumento principe per l'orientamento dopo la terza media non è "La scuola in chiaro", "Eduscopio" o similia, ma la vecchia, interessante, comoda, diffusa... chiacchiera. La scelta della scuola superiore va a mode, come il numero di risvoltini alle braghe degli studenti che la frequentano. E nulla, nemmeno un RAV scritto in modo quanto più descrittivo possibile, riesce a scalzare la potenza del "si dice". E quindi, il RAV del Serbelloni non fomenta (o pubblicizza) il classismo. Se mai descrive un classismo in atto.
Dobbiamo chiederci quindi perché accada una sorta di naturale selezione delle iscrizioni; se in essa incidano le iniziative di orientamento (come i cosiddetti "ministage" o la "scuola aperta" o anche le indicazioni del consiglio di classe in terza media), l'atteggiamento di dirigenti e corpo docente (specie di fronte a classi prime di 30/32 individui) o le caratteristiche socio-economiche del territorio cui fisiologicamente insiste quel dato liceo. Dobbiamo chiederci se, nel vasto mare della chiacchiera genitoriale, riceva credito la capacità di includere, di far convivere fecondamente vite diverse, di realizzare il dettato costituzionale. Dobbiamo infine chiederci se tutto questo avrà fine quando decideremo di investire le risorse per limitare il numero di studenti per classe (venti al massimo?) o se addirittura inizieremo a praticare una didattica per interessi e non per gruppi precostituiti.
scritto da Giovanni Realdi