A Bassano del Grappa il17 aprile 2018 si terranno due incontri con Michel Collard e Colette Gambiez, al mattino dalle 9 alle 11 all’Istituto Brocchi e alla sera in luogo da definirsi.
Sono incontri speciali con persone speciali. Loro ci diranno della loro vita, noi faremo loro delle domande, ma faremo a noi altre domande:
Qual è la situazione dei poveri a Bassano?
Ci sono dei senza casa, senza fissa dimora?
Quanti centri di ospitalità ci sono? Per mangiare, per dormire?
Da chi sono gestiti? Laici, religiosi? Istituzioni: il Comune, la Caritas, altre Associazioni o Cooperative?
Chi sono e da dove provengono i poveri, gli emarginati?
Ma chi sono Michel e Colette?
Sono due persone le cui strade si sono incontrate mentre ciascuno di loro andava sperimentando personalmente l’incontro con l’”altro”, soprattutto con i poveri, con gli emarginati, con i sofferenti. Entrato molto giovane tra i Francescani, Michel Collard, viene a contatto con il mondo della grande miseria, grazie ad un’associazione di volontariato nella quale resta per cinque anni. Nel 1983 decide di condividere la vita dei senzacasa nella sua interezza. Parallelo è il cammino di Colette Gambiez che, dopo avere esercitato per nove anni la professione di infermiera, fonda la comunità di Magdala a favore dei senzacasa. Nel 1992 Colette conosce Michel, abbandona tutto e si unisce a lui per condividere la vita dei più poveri. Insieme i due fanno la scelta radicale di farsi compagni e fratelli degli ultimi, dei senzatetto, dei senza fissa dimora, dei clochard attraverso il loro vivere sulla strada. Da allora Michel e Colette viaggiano e vivono assieme tra i clochard.
“Non abbiamo fatto la nostra scelta per fare come o per giocare a fare il povero. Se ci troviamo sulla strada è per vivere un incontro che sappia restaurare tra il povero e il mondo un legame perduto e deteriorato, per essere un ponte tra mondi che si ignorano. Lungi da richiudersi nel mondo degli esclusi, andiamo e veniamo in qualità di mediatori desiderosi di allacciare, tra i due poli della società, dei fili di tenerezza che corrono sulla navetta per riannodare il tessuto sociale”.
Queste loro parole sintetizzano le motivazioni della loro scelta. Dalle loro parole comprendiamo come i poveri possano indicarci la via della più elevata umanizzazione. Questo ci aiuta a comprendere il senso del nostro averli voluti tra noi. Persone che sperimentano, nell’incontro con l’altro, la possibilità di andare a “scuola di umanizzazione”, possono comunicare qualcosa anche a noi?
Michel e Colette viaggiano da Parigi a Liegi, dalla Francia al Belgio, e vanno laddove possono incontrare i clochard, i senza casa, nei dormitori, nei luoghi di distribuzione del cibo, nelle metropolitane, sotto i ponti, sulle panchine; ovunque possano trovare persone, uomini e donne cadute nel profondo abbandono della miseria, della povertà.
Alcune frasi simbolo/proverbio che trovo nei due libri che come Macondo abbiamo pubblicato ( “Clochard” e “Il povero”).
- Un uomo chiamato Clochard. Quando l’escluso diventa l’eletto
- Il povero. E se fossero i poveri a mostrarci le strade dell’umano
Leggendo il loro primo libro “Clochard”, raccolgo alcune riflessioni e domande; è una stesura sintetica, spero comprensibile:
La vergogna di essere povero, miserabile. È una percezione avvertita dal povero, dall’escluso.
I poveri si ergono d’improvviso davanti a te e allungano la mano per l’elemosina. La tua reazione di sconcerto, di stizza, di pietà, ecc.
I poveri, senza casa, sono consapevoli a volte del loro fallimento e si vergognano.
Privati di un riposo sicuro, vivono con i nervi a pezzi, in preda all’angoscia.
Reazioni: Emotivamente si è portati a dare un aiuto, un aiuto qualsiasi.
Ma possiamo chiederci: perché affrettarsi?
Che fare? Guardare, ascoltare, stare accanto?
Come?
Michel e Colette sono stati erranti con altri erranti, Senzafissadimora, senza denaro in tasca, senza un luogo per dormire, senza nulla da mangiare, elemosinando quando era necessario, a dormire nei centri di accoglienza che spesso sono peggio della prigione. Per terra, nelle brande, tra odori nauseanti, indescrivibili.
Come e perché i poveri si trovano in strada, senza casa?
Che fare per toglierli dalla strada?
Ha senso, è possibile toglierli dalla strada?
Come sono i centri di accoglienza oggi?
E voi Michel e Colette perché siete scesi in strada tra i diseredati?
Sta scritto nel libro dei Proverbi: “uno sguardo luminoso allieta il cuore”.
Come si fa ad entrare in rapporto con il povero?
C’è una strada sicura per farlo?
La vostra Scelta (di Michel e Colette) è l’unica possibile per aiutare il povero ?
Frase di un Clochard: camminare, camminare verso il mio destino, non so dove. Vivere dall’altra parte della barricata, senza casa , senza speranza, le lunghe file per il pane, per un letto nei centri: il freddo, la fame, il sonno, il disprezzo, l’allontanamento dai centri: come fanno a resistere? L’hanno fatto loro questa scelta? Cosa e come succede tutto questo?
E voi Michel e Colette, come fate a resistere, o come facevate a resistere?
Stare tra i disperati; perché?
Qual’è l’umore dei poveri, dei senza casa? Come reagiscono i senza casa nei rapporti?
Tra di loro, con voi?
Hanno parole o solo lamento?
Come vengono oggi trattati nei centri di accoglienza?
In quale solitudine sono caduti?
Se ne rendono conto?
Tentano la risalita? È possibile la loro risalita?
Perché Michel e Colette chiedete solo pane, cibo e non denaro?
Quanti episodi quanti volti sono passati davanti a vostri occhi, quante parole, lamenti, sguardi avete raccolto, ascoltato, fermato?
Michel e Colette ci prospettano una esperienza di vita totale, senza compromessi che ci riesce difficile comprendere. È quella assurdità che ci coglie pensando a quella che era in origine di S. Francesco, una figura tanto lontana da essere mitizzata (eppoi era Santo …). Ma Michel e Colette sono persone vive, come noi, e questo ci crea imbarazzo, ci confonde.
Nel nostro sistema occidentale affrontiamo i problemi sociali nell’ordine dell’efficienza, siamo preoccupati di azioni, di riuscite, di esiti là dove occorre dare il respiro di un incontro, di uno sguardo. Evidentemente la persona che soffre fisicamente e moralmente, non è insensibile al sollievo del proprio dolore ma probabilmente è molto più sensibile al modo con cui ci interessiamo di lei. Tutti noi, quando siamo malati e andiamo dal medico, siamo preoccupati che tecnicamente faccia una diagnosi esatta ma, se non abbiamo l’impressione di essere stati ascoltati, usciamo dal suo studio frustrati. La persona che soffre di esclusione sociale, in qualunque modo, ci lancia sempre il medesimo appello e grido: ”Sono ancora un uomo? Sono ancora degno di amare e di essere amato? Malgrado tutto, ho ancora un posto, posso ancora apportare qualcosa?”
scritto da Gaetano Farinelli