Il rapporto con la parentela è stato a lungo trascurato negli studi di sociologia. La famiglia moderna è neolocale, trae le sue risorse dall’inserimento nel mercato del lavoro e non dalla condivisione dei beni della famiglia di origine, perde il senso di appartenenza ad una comunità biologicamente circostritta, ovvero legata solo da vincoli di sangue o da imposizioni di “contratto” matrimoniale.
Oggi, in senso stretto, la parentela designa il rapporto che deriva dalla comune appartenenza sia dei consanguinei sia degli affini. Questo significa che i confini tra convivenza familiare e parentela sono certamente più mobili nel tempo e fortemente individualizzati. Questo significa che oggi più che in passato la rete parentale è un cespuglio affettivo di scelta piuttosto che un albero genetico di obblighi.
La delimitazione di questi confini è uno dei fattori principali del dinamismo della struttura familiare lungo il ciclo di vita: le persone entrano nella famiglia portando con sé nuovi legami di parentela o modificando quelli esistenti; viceversa escono dalla convivenza per entrare nella parentela, come nel caso del matrimonio. Le relazioni interne, che costituiscono la convivenza, e le relazioni esterne della parentela si ridisegnano continuamente, basta pensare al rimescolamento di parentele che si determinano nelle famiglie ricostituite dove ha rilevanza la presenza del terzo genitore e i fratelli sono tra loro legati dalla discendenza biologica di un solo genitore.
Non si tratta di semplici definizioni, ma di modalità di rapporti e di organizzazioni sociali; in questo i rapporti tra i sessi costituiscono un principio ordinativo sociale fondamentale, una struttura sociale di genere, continuamente e diversamente elaborata. Ancora oggi, la rete parentale continua ad avere una forte rilevanza sociale, oltre che affettiva: si è passati dalla “invisibilità” della parentela degli anni '70-90 alla scoperta della sua importanza nella società odierna.
Le ricerche sui rapporti di parentela nella famiglia contemporanea mostrano una famiglia nucleare che vive all’interno di una fitta rete di rapporti e di scambi tra parenti, tra famiglie e tra individui di diverse famiglie. Questa rete ha gradi di libertà e di flessibilità maggiori di un tempo e consente una modalità di rapporto più individualizzato, più tagliato su misura del singolo o della singola famiglia, dei suoi bisogni, ma anche delle preferenze e affinità elettive di coloro che si pongono così in relazione.
Questa rete parentale offre sostegno, risorse e servizi, sotto forma anche di aiuto nel lavoro domestico e nella cura dei bambini. Chi è senza rete ha risorse più scarse: basti pensare alla coppia genitoriale che lavora e deve gestire i figli minori senza una rete parentale costituita dai nonni che ne permettono la funzionalità familiare e contemporaneamente permettono il rinsaldarsi di nuove affettività di relazione che sono assenti in nuclei familiari privi di una vera rete parentale. Oggi, l'affettività è un forte elemento sottostante gli scambi parentali, e ne costituisce forse, più che la causa, la legittimazione ideale.
Nelle società contemporanee sviluppate, così come ci si può sposare solo “per amore”, si “deve” voler bene ai propri parenti, anche perché più che “dati” sono “scelti” (discendenza ottavica). La relazione con la parentela si basa, come nella relazione di coppia, su quello che viene definito “amore convergente”, che presuppone “la parità nei conti del dare e dell’avere affettivo”. È in questo affetto ricambiato che si fonda la continuità delle generazioni e l’appartenenza a una parentela comune. Oggi più che in passato, gli scambi affettivi tendono a celare gli aspetti strumentali della parentela ottavica legata al valore pratico, sociale, economico che determinano una nuova continuità e una nuova creatività degli affetti tra generazioni e tra individui affini di scopo e ruolo. Un esempio sono la nascita di reti amicali “pseudoparentali” tra nonni di genitori separati nel sostegno parentale dei nipoti sia biologici sia del nuovo partner del proprio figlio o figlia: una vera e propria parentela affettiva nuova che si riverbera nella vicinanza di ruolo e di scopo nella comune “nonnitudine”.
Nelle società occidentali sviluppate, accanto al permanere della patrilinearità simbolica, espressa dalle regole di attribuzione e trasmissione del cognome, è prevalente la matrifocalità, o matrilateralità. Infatti, nelle reti parentali contemporanee le donne sono collocate al centro degli scambi, come tessitrici delle reti stesse. Sono appunto le donne, oggi come in passato, a farsi carico dei rapporti di parentela, a costruirli e a mantenerli nella vita quotidiana.
Nota. Dal punto di vista antropologico, la discendenza viene definita come l’insieme dei legami, socialmente riconosciuti, tra un individuo e i suoi antenati. Presso numerose società odierne e del passato ci si è basati sul principio della discendenza per costituire i gruppi sociali fondamentali, detti appunto gruppi di discendenza (clan, lignaggi). La discendenza regola l’accesso degli individui alle risorse, la trasmissione di beni, diritti e doveri da una generazione all’altra: il nome, la residenza, il rango, l’appartenenza etnica possono esservi connessi. La discendenza non va intesa nel suo aspetto biologico: tutte le società umane operano scelte e manipolazioni dei legami biologici, dando vita a legami di tipo sociale. Nelle società occidentali contemporanee sul piano sociologico (quello giuridico segue regole differenti) prevale la discendenza cognatica ottativa (ovvero di scelta individuale di parentela tra la linea di discendenza materna o paterna non tanto sulla linea genetica quanto sul piano delle relazioni e delle frequentazioni prevalendo l'instaurarsi di condizioni di scelte affettive individuali).
All’interno della famiglia la madre riveste il ruolo di maggiore influenza nel processo di socializzazione dei figli. È probabilmente la centralità del ruolo materno che genera un clima socializzativo nel quale le generazioni più giovani vengono cresciute nella logica della comunicazione affettuosa, dello scontro controllato e del supporto incondizionato.
In questa rete parentale “femminilizzata” gli uomini possono apparire beneficiari e vittime allo stesso tempo. Questo anche per effetto dell’instabilità coniugale, che scompone le famiglie e le ricompone intorno alla figura materna. Per questo più che di rete patrilineare o patriarcale sarebbe meglio parlare di rete parentale “matricentrica” con la madre al centro dei legami affettivi e della continuità familiare.
È attraverso le figure della maternità che le donne si collegano tra loro all’interno della famiglia: come figlie della stessa madre, come moglie del figlio della propria suocera, come madre dei nipoti della madre o della suocera. Questo vale anche per gli scambi di aiuti e di servizi: coinvolgono soprattutto le donne. Le donne sviluppano comportamenti e propongono immagini di sé tali che i loro familiari si aspettano da loro che siano più disponibili degli uomini a prestare aiuto in caso di bisogno.
Questo non esclude il coinvolgimento degli uomini, ma evidenzia stereotipi di genere in una singolare divisione non solo del lavoro, ma del riconoscimento simbolico: delle donne si dice l’affettività, celandone gli aspetti di lavoro anche molto materiale; degli uomini si dice lo scambio e l’attività economica e si nasconde la relazione affettiva. Tutto questo può apparire come uno stereotipo e certo nella società moderna sono molto differenziati i comportamenti di genere nel lavoro di genitorialità.
Certo è che dopo la separazione di una coppia con figli la madre tende a continuare un modello genitoriale già impiantato adattandolo alla nuova condizione, mentre il padre si deve inventare un ruolo che spesso prima viveva di riflesso sulla madre e che ora ricade sulle sue spalle in termini pieni di disponibilità e tempo da dedicare alla paternità gestita in prima persona. Se sceglie di essere padre perché provvede al contributo di mantenimento dei figli diviene “un padre assente che paga pur di essere libero”, se si impegna nella nuova ed autonoma paternità deve essere capace di porre i figli al centro della sua vita relazionale. Una condizione che, solitamente, deve imparare e che gli costa fatica e dedizione. Una condizione che per entrambi i genitori significa ricostruire una nuova rete parentale costituita di nuovi affetti di scelta, non solo in relazione all'eventuale nuovo partner, ma anche in relazione a nuove scelte di affinità nell'ambito della precedente rete parentale.
Divenire terzo genitore implica la costruzione di una nuova rete parentale di scelta in funzione delle proprie affinità, ma anche in funzione delle nuove relazioni che i figli instaurano con gli altri fratelli non biologici e con altre persone a cui affettivamente si legheranno. Una impresa che si può affrontare abbattendo i muri con umiltà e ironia.
scritto da Alessandro Bruni