Nel momento in cui l’ipotesi della costituzione di un Governo della Repubblica pare essere finalmente verosimile, si impone una riflessione ampia per compiere da subito urgenti e incombenti scelte. Abbiamo il dovere di ragionare su uno spettro largo per passare poi da una porta stretta.
Se, come pare, il nuovo Governo scaturisce da un progetto avventuroso e affrettato, maturato in condizioni grottesche, in cui il Movimento Cinque Stelle (M5S) e la Lega hanno assunto la responsabilità di sostenerlo, questa stessa riflessione impone anche un’assunzione di pari responsabilità da parte nostra in forme ben più solide e logiche e soprattutto in tempi rapidi. Davvero possiamo argomentare che il tempo delle risate è finito e che adesso ci attende un periodo in cui occorre riflettere, progettare e soprattutto agire.
Innanzitutto vanno tralasciati i piagnistei post-elettorali e le analisi compiaciute, le autocritiche inutili e le invettive paradossali.
Paradossali sono invece le forze in campo in questo momento, per dirla come il Presidente della Repubblica di Francia, Emmanuel Macron. Si tratta di forze paradossali e assolutamente pericolose e certamente non basteranno le banali osservazioni di circostanza, ascoltate anche all’interno della sinistra, sul fatto che questa nuova maggioranza parlamentare sia, in fin dei conti, l’esito della volontà popolare democraticamente espressa, attendendo pazientemente ogni sviluppo futuro.
Democraticamente, o quasi, anche la NSDAP, vale a dire la Nationalsozialistiche Deutschen Arbeiten Partei, cioè il partito nazionalsocialista tedesco, è arrivata al Governo e soprattutto al potere, così come ormai lo strumento della rappresentanza parlamentare, eletta attraverso il processo elettorale democratico, può avvalersi di procedure formalmente espressive della volontà popolare, ma pesantemente inquinate da fattori di ogni genere, specie se di genere cattivo.
L’improbabile democrazia russa, le sconcertanti vicende delle giovani democrazie latinoamericane, le involuzioni autoritarie delle neonate democrazie dell’Europa orientale e soprattutto i sussulti paranoici della consolidata democrazia statunitense lo dimostrano. Oggi la democrazia reale subisce assalti, insulti e mistificazioni senza precedenti e quindi va semplicemente difesa e ripristinata.
Dunque, il tempo delle risate è finito e possiamo dire che in Italia sia durato davvero troppo.
Ventitré anni di tragica e interminabile comicità
Nel 1994 abbiamo assistito alla caduta dei partiti politici tradizionali, usciti dalla Resistenza e dall’Assemblea Costituente. Con l’arrivo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di Silvio Berlusconi abbiamo aperto una stagione interminabile di sussulti, d’incertezze, di rovesciamenti di fronte, di opzioni politiche improvvisate o tendenzialmente eversive, in un lungo periodo in cui la tragedia si è intrecciata con alcune forme di comicità e di folklore.
Berlusconi conserva la responsabilità gravissima di avere demolito l’etica pubblica, il concetto di Stato emerso da una dottrina democratica ampiamente sperimentata e infine perfino l’etica personale dei cittadini di questa Repubblica, portati a credere che il proprio interesse privato fosse l’unico realmente significativo. La sua azione ha dato il colpo definitivo a un senso della
partecipazione e della corresponsabilità sociale e politica, peraltro già in crisi da tempo, e così ci siamo ritrovati in un sistema politico degradato, già intriso di populismo “ante litteram” e privo di tensioni comunitarie, attorcigliati dentro la difesa corporativa degli interessi personali o di settore.
La crisi economica e l’esplosione della questione migratoria hanno chiuso il cerchio e hanno soffocato un popolo che presumibilmente è diventato progressivamente una somma di individui indistinti.
In tutti questi ventitré anni abbiamo ricevuto la sensazione di vivere all’interno di un sistema politico privo di certezze, di punti fermi e di basi istituzionali solide, cambiando in continuazione leggi elettorali, Governi, coalizioni, soggetti politici e partitici e bocciando clamorosamente due radicali riforme istituzionali, dopo averne promossa una molto limitata (quella sulla suddivisione delle competenze tra lo Stato e le Regioni con l’Art. 117 della Costituzione repubblicana) quasi per distrazione e stanchezza.
In questo tempo la Repubblica non è cresciuta e con essa si è involuta la società civile, sempre più vittima della propria nevrosi e dei propri difetti storici. Ciascuno di noi è diventato sempre più ristretto e chiuso in sé stesso e nelle proprie deboli sicurezze e, alla fine, sempre più travolto dalla paura di perderle.
Berlusconi oggi va semplicemente rimosso dalla memoria collettiva e i suoi frutti vanno gettati via senza nostalgie. Adesso purtroppo facciamo i conti con ben altri pericoli, tutti incombenti.
Le destra italiana di oggi
Oggi la destra italiana ha affossato il liberalismo e immaginarla dentro un profilo di carattere liberaldemocratico è pura utopia.
Essa invece si esprime attraverso le forme truculente e volgari del fascio-leghismo, che è un concentrato confuso e disgustoso di particolarismo spinto, di nazionalismo becero, di fascismo nostalgico e di xenofobia primitiva. Matteo Salvini, uomo dotato di uno scadente profilo intellettuale, ma di un’eccellente intelligenza pratica, è l’abile e indiscusso “leader” di questa prospettiva politico-culturale. Ha conquistato consensi con parole d’ordine facili e condivise da moltissimi e ha sapientemente e scientificamente lasciato dilagare un odio sociale incontrollato. Ha trovato, dentro ogni tragedia personale o sociale, tutto il carburante per la propria azione politica e oggi ne raccoglie i frutti copiosi.
Rozzezza, volgarità, approssimazione, brutalità espressiva, disprezzo innato verso la diversità, ignoranza e luoghi comuni appartengono non solo a Matteo Salvini né tantomeno alla sola Lega, ma a buona parte di un popolo che ha perso il filo della propria dimensione etica e della propria educazione al bene comune, oltre che della propria memoria.
Oggi la Lega salviniana è vincente culturalmente, se mai sia possibile parlare di cultura in questa temperie. Le battaglie elettorali di chi si oppone a questo movimento politico sono inesorabilmente perdenti in quasi tutto il territorio nazionale, indipendentemente dai meriti di chi compete e dalla bontà dei programmi proposti. Quando comunico il paradosso che, in alcuni contesti, nemmeno Gesù Cristo in persona riuscirebbe a sconfiggerli, dico semplicemente la verità su uno stato di cose.
Il berlusconismo ha aperto culturalmente la strada a quest’esplosione di individualismo distruttivo e suprematista, anche se ormai è politicamente minoritario, sorpassato dalla creatura che ha generato. Salvini sa bene che può divorarlo come e quando vuole, così come si può dire di quella creatura inutile che risponde al nome di Fratelli d’Italia, un partito dal nome tratto da un inno nazionale, come se in Francia si fondasse un movimento politico, ribattezzandolo “La Marseillaise”.
Giorgia Meloni è una politica dal profilo assolutamente modesto e inconcludente e il suo partito ormai è un doppione addolcito della Lega.
In ogni caso, constatata l’assenza pressoché totale di gruppi politici di centro-destra moderato, oggi la destra gode di un vantaggio indubbio in ogni competizione elettorale. Può vincere comodamente le prossime elezioni politiche, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari e può farlo indipendentemente dalla somma dei meriti e dei demeriti del panorama politico e sociale italiano. Essa è forza vincente nella cultura popolare e nella psicologia di massa, là dove ormai ogni narrazione sul senso della comunità, della giustizia sociale, della democrazia reale, della distribuzione equa della ricchezza e dell’etica individuale e sociale è inascoltata e perdente.
Partiti politici democratici, Chiesa, sindacato e organizzazioni sociali pagano una crisi epocale e faticano a rileggere il proprio ruolo di elevazione della dignità umana.
La demagogia “folle” del Movimento Cinque Stelle
Quando mi sono permesso di comunicare il paradosso di una “Repubblica psichiatrica” in via di formazione, pensavo e al Movimento Cinque Stelle (M5S) e continuo a pensarci.
Il Movimento ha la logica dei folli, che è, per doveroso riconoscimento, una logica pur sempre legittima.
Esso contesta radicalmente le strutture del capitalismo contemporaneo, propone utopie ancora tutte da scoprire, come la cosiddetta “decrescita felice”, si oppone a qualsiasi strategia di sviluppo e di avanzamento, legge la crisi del lavoro, in questa fase di capitalismo morente e velenoso, secondo dinamiche che garantiscano un reddito di cittadinanza indipendentemente dalle condizioni socio-economiche in cui esso viene riconosciuto.
I metodi adottati sono una via mediana tra la pittura naïf, il teatro dell’assurdo, il futurismo letterario e il populismo di Masaniello. La ferocia e l’estemporaneità di questi accostamenti descrivono bene i pericoli insiti in una proposta politica velleitaria, inattuabile e priva di tutti i mezzi e le strategie degli stessi processi rivoluzionari.
L’uso quasi ossessivo degli strumenti della rete informatica è soltanto un palliativo generico o forse l’adozione di una strategia che comunica autocompiacimento e sensazione di onnipotenza e di megalomania.
La politica è fatta di volti, di pensieri espressi e discussi personalmente, di incontri reali e di decisioni assunte in ambiti visibili e concreti. Non a caso, una volta messi davanti ai problemi più immediati e urgenti, i pentastellati sono naufragati miseramente dentro un’incapacità assoluta di fronteggiare qualsiasi evento. Incapaci di vedere, di decidere e di operare.
Il “paradosso macroniano” risiede proprio in quest’inaffidabilità. Il Movimento vorrebbe rovesciare un modello sociale, facendo a meno di esperienze, di competenze, di conoscenze e di metodologie e in più si alimenta di un generico risentimento collettivo contro la politica. I suoi militanti sono spesso scaraventati sotto le luci della ribalta in modo repentino e ubriacante. Ciò che negli anni passati si assumeva dopo anni di maturazione politica oggi è diventato un insperato dono della Provvidenza per parecchi amministratori improvvisati.
La confusione programmatica di questo fantomatico “contratto di Governo”, redatto in fretta e furia solo dopo le sollecitazioni precise (e le placide minacce) del Presidente della Repubblica, evidenzia la pochezza complessiva di un Movimento, che è nato a seguito delle convinzioni paranoiche e visionarie del compianto Casaleggio e che oggi imperversa pericolosamente nell’opinione pubblica e nei corridoi istituzionali di una Repubblica democratica di sessanta milioni di abitanti.
I pericoli sono molti ed enormi.
La crisi del centro-sinistra e del Partito Democratico
La crisi del centro-sinistra e del Partito Democratico (PD) è speculare al vantaggio della destra. Essa prescinde in larga misura delle responsabilità individuali o di gruppo e sarebbe comunque esplosa, come peraltro accaduto in moltissime Repubbliche dell’Occidente.
Addossare a Matteo Renzi ogni responsabilità e farlo in continuazione ormai è diventata un’ossessione patologica. Una volta riconosciute le non poche responsabilità del dinamico dirigente fiorentino, bisogna andare oltre, riattivando un’iniziativa politica compromessa dalle sconfitte nel “referendum” costituzionale e nelle ultime elezioni politiche.
Resto dell’idea che Matteo Renzi ha pagato la fretta di proporre in modo irruente e troppo determinato una prospettiva di cambiamento culturale nella politica repubblicana. Era e resta “troppo” avanti e ha la responsabilità di non avere mediato con pazienza dentro un tessuto socioculturale lento e sovente decrepito, nonché ostile a qualsiasi cambiamento.
Paradossalmente anche il voto del 4 Marzo 2018 non è stato rivoluzionario nel senso del cambiamento, ma in quello della conquista di alcuni privilegi (si veda il reddito di cittadinanza) o dell’illusione di ripulire la società da quanto detestato (si veda la xenofobia leghista). In una Repubblica stretta tra il desiderio di guadagnare un reddito di cittadinanza senza fatica e quello di cacciare senza pietà centinaia di migliaia di immigrati, ogni elaborazione politica e programmatica nel senso della ragione, delle riforme, della rivitalizzazione culturale e sociale, crolla inesorabilmente.
Oggi il PD, che è restato l’unica ed esclusiva forza politica capace di un progetto per il bene comune nel senso della ragionevolezza e della democrazia reale, arranca senza colpe specifiche. Non sopporto questo clima di autocritica senza oggetti da criticare e di autocompassione senza ragioni da compatire.
Il PD deve semplicemente riprendere il cammino, dimenticando le paturnie incomprensibili sull’Ulivo, sull’unità della sinistra e su quanto ormai appartiene agli schemi intellettuali della politica del Novecento, con o senza Renzi, ma sicuramente senza le vecchie statue di cera della sinistra nazionale.
In una società che si va fondando su princìpi preoccupantissimi, quali la disuguaglianza sociale, la violenza istituzionale, il disprezzo della democrazia e la creazione di nuove e vecchie barriere di confine, sarà fondamentale e durissimo riproporre i modelli che ci hanno sempre contraddistinto: dalla democrazia reale alla giustizia sociale, dalla tolleranza istituzionale e sociale alla pace. Continuiamo a conservare con noi questo tesoro, che è nostro. Perché dimenticarlo o ignorarlo?
Le contraddizioni programmatiche e il dovere della nostra resistenza
Nell’esaltazione costante dei paradossi, alcune proposte programmatiche di questa bizzarra e strampalata coalizione meritano di essere citate.
Si vorrebbe finanziare la partecipazione della Repubblica a tutte le imprese di servizio pubblico mediante l’accesso alla Cassa Depositi e Prestiti, che è il forziere in cui giacciono i risparmi personali e familiari di moltissimi cittadini e dove risiedono buona parte delle garanzie economiche dell’Italia.
Si vorrebbe distribuire indiscriminatamente un reddito di cittadinanza particolarmente gratificante senza la minima certezza di copertura finanziaria.
Si vorrebbero bloccare alcune Grandi Opere essenziali per lo sviluppo, a partire dall’avviatissima e fondamentale ferrovia Torino-Lione. Con un ripensamento repentino ci si è poi limitati a proporre una revisione del progetto, dimenticando che l’opera ormai è in fase di realizzazione avanzata.
Si vorrebbero espellere con metodi sconosciuti, e speriamo non di tipo “argentino” (nel senso della dittatura militare), alcune centinaia di migliaia di cittadini stranieri profughi, senza adeguati rapporti internazionali che consentano di mediare espulsioni, respingimenti e blocchi.
Si vorrebbe abolire “d’amblé” l’odiatissima (per la verità anche da me) Legge Fornero sui pensionamenti, ma senza prevedere finanziamenti adeguati per le alternative.
Si vorrebbero abolire la legge di riforma delle assunzioni e dell’organizzazione del lavoro nella scuola (la cosiddetta “Buona Scuola”) e la legge sul servizio pubblico radiotelevisivo, anche in questo caso senza alternative chiare.
Davvero esilarante poi è la proposta all’Unione Europea per uno sconto di 250 miliardi di euro (sic!) sul calcolo del debito pubblico, associata alla terribile minaccia di votare contro il bilancio annuale dell’Unione.
Davanti a queste frivolezze entusiasmanti è venuto il momento di abbandonare l’ironia e il sorriso, perché adesso gli sviluppi si vanno facendo seri e, come già detto, pericolosi. L’ipotesi realistica di un Governo che operi dentro queste linee programmatiche, seppure con una maggioranza parlamentare non ampia, induce a riflettere e a sperimentare timori fondati per la tenuta democratica e socio-economica della Repubblica.
Tutto possiamo permetterci, ma non di continuare a sottovalutare questo progressivo disfacimento etico-civile e politico, che si appropria di milioni di parole e non sa più riconoscere unità culturale ed equilibri comportamentali nella vita della Repubblica. Stiamo giocando con il presente e con il futuro di decine di milioni di uomini e di donne e davvero il tempo delle risate è finito.
In questo passaggio dovremo scoprire di nuovo il valore di una resistenza che, pur essendo priva delle caratteristiche del movimento popolare che ha sconfitto il nazifascismo, deve impegnarci contro la deriva populista, che è di sua natura irrazionale e distruttiva.
Resistere davanti alla perdita di lucidità collettiva, resistere davanti alle tentazioni autoritarie, resistere davanti all’odio sociale, resistere per ricostruire un senso del rispetto della dignità personale e collettiva.
A cominciare da adesso.
scritto da Egidio Cardini