È sufficiente una gamba per giocare a calcio. Queste immagini lo dimostrano, quindi non ci sono più scuse. Anche se in campo hai un avversario in più, non devi permettergli di fermarti. Molte immagini del basket in carrozzina sono sfocate, sono la raffigurazione stessa della perfezione. Non ci sono solo Alex Zanardi e Bebe Vio (che pure sono due “grandi” a cui dobbiamo molto), c’è anche una schiera di atleti più “piccoli”, che lottano ogni giorno. A settembre ho avuto l’onore di conoscere tre atleti paraolimpici: Alvise (cinquant’anni, un’icona dello sport paraolimpico, è passato dal nuoto alla corsa, al rugby in carrozzina e non sembra volersi fermare), ci sono poi Francesco (il nuotatore di ventotto anni) e Oscar (il tiratore con l’arco).
Dietro a loro esiste ancora una grande moltitudine di persone con disabilità che invece non ce la fanno, perché la loro (la nostra) situazione sembra insormontabile, perché camminare è una delle cose più belle e importanti della vita. Nel 2012 si sono svolte le ultime paraolimpiadi di Oscar De Pellegrin. Tecnicamente non è corretto dire che abbia appeso l’arco al chiodo, perché in realtà l’ha smontato e ha regalato i pezzi ai suoi avversari delle più svariate nazionalità. Ora Oscar ha un’altra “mission”: va in giro per gli ospedali a cercare gli incidentati al midollo spinale (come lo è stato lui) per dire loro che la vita non è affatto finita, perché lo sport può tirarli fuori dal tunnel. Poi capitano anche episodi spiacevoli. La notte fra il 6 e il 7 dicembre 2016 dei ladri si sono introdotti in casa sua e la mattina dopo la custodia della medaglia era vuota. La suddetta medaglia è stata ritrovata mesi dopo, in condizioni pietose, in un mercatino delle pulci a Tirana ed è stata restituita al legittimo proprietario.
L’handbike è qualcosa di straordinario: seduto o disteso, l’atleta pompa energia sulle ruote con la forza delle braccia e cerca di superare gli altri. L’espressione concentrata ma anche felice (e a volte un po’ da pesce lesso) degli atleti spicca su tutto il resto. La foto cerca di catturare il movimento e l’energia di chi non si è arreso di fronte alla propria condizione. L’atleta in maglia azzurra guarda verso il fotografo, con un’espressione strana in faccia, come se gli dispiacesse di essere fotografato. Praticando l’handbike ci si può imbattere in persone speciali, come Damiano di Rubano, che non ha vinto nulla perché ha appena cominciato, ma si vede che ha passione. Glielo si legge negli occhi.
Quanto al tennis (di cui prima non sapevo nulla), fortunatamente sto leggendo Open. La mia storia di Andre Agassi: il quinto tennista al mondo racconta di come il tennis sia lo sport più solitario che esista, l’avversario a malapena lo vedi. Racconta la precisione dell’artigiano che incorda la racchetta. E la cura maniacale che Andre ha per la sua borsa da tennis. Chissà se questi tratti di Andre si ritrovano nei tennisti qui fotografati, forse sì. Memorabile è l’espressione di trionfo sulla faccia di una giocatrice di tennis da tavolo, colta nell’attimo in cui l’entusiasmo esplode.
Piccola nota per me: non ci sono solo gli scacchi come possibilità sportiva per chi ha difficoltà fisiche, ma c’è un ventaglio di discipline da esplorare: non tutti gli sport esistenti, ma quasi.
scritto da Cecilia Alfier, pubblicato in Madrugada 110, rivista trimestrale di Macondo