Io sono caregiver. Cerco di avvicinarmi a mio marito come fosse quello di una volta. Ma sbaglio. Mi aspetto da lui risposte, anche di gratitudine, ma non ci sono. Poi mi vengono i rimorsi. È un altalenarsi di sentimenti: amore, rabbia, compassione… e incapacità di accettare che lui resta così! Erminia, caregiver
Il termine inglese caregiver indica “colui che si prende cura”, di un congiunto, amico o vicino malato o disabile. La cura fornita dai caregiver viene definita “informale” poiché viene veicolata attraverso legami familiari e affettivi e porta con sé la caratteristica della gratuità. Il settore delle cure informali rappresenta l’emergenza di questi ultimi decenni e lo sarà ancora per molti anni in conseguenza del cambiamento demografico legato all’invecchiamento della popolazione: in Italia sono più di tre milioni le persone che, nel contesto familiare, si prendono cura regolarmente di anziani, malati, disabili.
Il caregiver può trovarsi nella condizione di investire una enorme quantità del suo tempo nella cura di un familiare affetto da malattia cronica dedicandosi all’assistenza nelle attività della vita quotidiana. Ma prestare le cure igieniche a una persona che si rifiuta, somministrare farmaci e monitorare l’insorgenza di eventuali effetti collaterali, utilizzare delicati presidi medici (catetere, gastrostomia, ventilatore): sono tutte azioni che presuppongono l’acquisizione di significative competenze tecniche. Quando la demenza senile causa un deterioramento cognitivo, il caregiver vive uno stato costante di allerta per vegliare il malato e prevenire l’esposizione a comportamenti a rischio, se non aggressivi, verso sé stesso e gli altri. Potremmo parlare della frustrazione di vagare in solitudine da uno sportello a un ambulatorio a una sala d’attesa alla ricerca di aiuto, consigli, prescrizioni, ausili e dell’ansia legata alla necessità di prendere decisioni a nome di qualcuno che non è più in grado di prenderle da solo… Il caregiver inizia a prestare le sue cure con amore ma spesso il ritmo estenuante a cui è sottoposto comporta un cambiamento di preposizione… e finisce per curare il suo caro per amore.
Caregiver: il paziente nascosto
L’eccesso di responsabilità che grava sulle sue spalle e il senso di solitudine e abbandono da parte del sistema e del contesto sociale possono portare il caregiver a trascurare la sua salute. Si parla del caregiver come del “paziente nascosto”: la percezione di essere afflitti da un peso eccessivo (il cosiddetto “burden del caregiver”) può comportare effetti avversi sul ritmo del sonno, provocare un senso di spossatezza cronica, ridurre le difese immunitarie, aumentare i livelli di insulina e della pressione arteriosa e il rischio di malattie cardiovascolari. Il burden è precursore di sintomi depressivi e si riverbera anche sui ruoli sociali e lavorativi del caregiver. L’ambito lavorativo ne può risentire in termini di assenze reiterate e diminuzione della produttività. Si riduce inoltre il tempo da dedicare agli altri membri della famiglia o il tempo libero da dedicare a sé stessi. Molti caregiver decidono di lasciare il lavoro oppure sono disoccupati e, in questi casi, la riduzione di disponibilità finanziaria può incrementare il livello di stress e la preoccupazione di non poter far fronte ai costi implicati dall’assistenza continuativa, portando a condizioni di vera e propria povertà.
Il burden inoltre può aumentare con la percezione da parte del caregiver di non essere adeguatamente preparato a fornire la cura necessaria al proprio caro e questo avviene spesso per non essere sufficientemente guidati dai professionisti formali della cura. La dimissione da un ricovero ospedaliero, per esempio, rappresenta una fase molto delicata in cui è necessaria, da parte del personale di reparto e al domicilio, l’appropriata identificazione dei bisogni individuali del malato e dei suoi familiari: se si creano lacune comunicative tra l’ospedale e la sua interfaccia comunitaria, i caregiver si trovano ad affrontare la fase più critica e possono sentirsi abbandonati dalle istituzioni e isolati dal contesto sociale.
Chi si prende cura dei caregiver?
La letteratura scientifica fornisce evidenza sull’efficacia degli interventi volti a proteggere la salute fisica ed emotiva di questa fascia di popolazione. È necessario tuttavia che il caregiver cominci a essere considerato un utente diretto degli interventi di cura: la fatica della cura può essere ridotta quando il senso di appartenenza al proprio contesto sociale aiuta a sviluppare e/o mantenere una sorta di mutualità generativa tra il curato e il curante che l’eccesso di burden può interrompere e quando il caregiver viene monitorato periodicamente e formato nell’acquisizione delle competenze tecniche necessarie al suo lavoro di assistenza.
Il rilievo di queste necessità ci ha condotto a sperimentare una modalità di supporto dei tanti caregiver che incontriamo nello svolgimento, per conto dell’AUSL di Ferrara, del percorso di riabilitazione domiciliare all’interno del nostro Comune. I nostri terapisti impostano il loro intervento come una presa in carico della famiglia e non solo del “paziente”. I caregiver vengono coinvolti fin dal primo incontro nella formulazione del progetto individuale e formati alla gestione autonoma e competente delle problematiche legate alla mobilità e alle attività della vita quotidiana.
Un’esperienza di supporto
Mi occupo personalmente dell'organizzazione della presa in carico e degli appuntamenti, il che mi permette di entrare in contatto anche solo telefonico con tante persone che si prendono cura dei loro cari e di dare alle nostre comunicazioni lo spazio della relazione: per sfogarsi, raccontare dell’altro e di sé. Molto spesso sono sorpresi da questo interessamento: sono abituati che tutto deve ruotare attorno al loro parente malato. In realtà, è sufficiente un po’ di attenzione autentica, anche solo attraverso il filo del telefono, per aprire un varco che consente loro di esprimere emozioni che sono abituati a tacere. Generalmente le conversazioni sono molto semplici: si parte da una domanda su come sta il malato per poi rivolgere direttamente l’attenzione sul caregiver: sapere di essere ascoltati attivamente dà loro il sollievo di potersi narrare e dare un nome alle emozioni percepite come “negative” nel rapporto con il loro caro.
Questo riconoscimento dell’importanza del ruolo dei caregiver incentiva e potenzia il percorso riabilitativo, diventa atto di cura e di presa in carico globale del bisogno di salute espresso dalle persone che si affidano al nostro servizio. Ma il sostegno alle famiglie più fragili deve però progredire nel medio/lungo periodo e richiede investimento di tempo e di risorse da parte di tutti gli attori sociali per potenziare gli interventi di monitoraggio di sostegno.
Prendersi cura di chi si prende cura è una delle tante sfide a cui le nostre comunità si trovano di fronte. È un esempio di come, con interventi semplici ma integrati dall’apporto e dall’intreccio tra famiglie e istituzioni, le organizzazioni dell’economia sociale e del volontariato possono generare beni relazionali, fiducia e senso di appartenenza.
scritto da Renata Beata Auguscik, pubblicato in Madrugada 110, rivista trimestrale di Macondo