L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro: si apre così la nostra Costituzione. Assenze, precarietà, ingiustizia, disuguaglianze crescenti caratterizzano sia la Repubblica che il Lavoro. Le loro sorti appaiono legate. Dimenticato, se non scomparso, è un altro elemento essenziale: la Festa. Nell’ultimo testo di Capitini, Omnicrazia: il potere di tutti, pubblicato postumo, c’è un intenso capitolo La festa e il lavoro. L’ho riletto e provo, come riesco, a riproporlo all’attenzione, suggerendo una completa lettura.
Dunque il lavoro nella Costituzione c’è. Addirittura fonda la Repubblica che contraccambia. Lo riconosce infatti come diritto dovere di ogni cittadino e promuove le condizioni per renderlo effettivo, art. 4 (questo ancora non si è visto, né appare all’orizzonte). Lo tutela in Italia e nell’immigrazione, si preoccupa dell’adeguatezza della retribuzione, delle condizioni particolari legate al sesso, all’età, all’inabilità, confida nell’azione dei sindacati, artt. 35-39. Garantisce a chi serve la patria, in forme diverse, la conservazione del posto di lavoro, artt. 51 e 52. Dedica un organo di rilevanza costituzionale, il Cnel, art.99. Affida alla concorrente responsabilità di Stato e Regioni la sicurezza e tutela del lavoro. I risultati non sono granché. Il lavoro cala, non le morti che procura. Sono cifre di guerra, con i morti da una parte sola. Quando si pensa di mettere mano alla Costituzione si comincia dallo Statuto dei lavoratori, il tentativo più organico di dare norme al lavoro conformi al disegno costituzionale. Ma se al posto di lavoro diciamo job già le tutele si adeguano al cambiamento.
La Festa in Costituzione non c’è. C’è il riposo settimanale, con le ferie retribuite irrinunciabili, art. 36. Uno di quei lacci e lacciuoli che la vecchia Costituzione ancora oppone al libero dispiegarsi delle forze dei mercati, suppongo. Per me è una cosa buona e anche per Capitini: il tempo libero è necessario per l’uomo non semplicemente per riguadagnare le forze atte al lavoro, perché questo lo si fa anche su un piano semplicemente vitale per gli esseri subumani che debbono alternare l’attività e il riposo, e perfino per i motori meccanici. Questo tempo libero può dunque non essere solo tempo di recupero, o di sfruttamento e alienazione in altre forme, ma aprire alla festa.
Se il lavoro può unire tra loro pochi o molti esseri, la festa unisce ancor piú tutti… non basta osservare, come fa lo Engels, che un oggetto fabbricato risulta indubbiamente dalla cooperazione di tanti, ma si tratta di accertare non tanto un risultato, quanto una cooperazione in atto, un dialogo che è reverente celebrazione di una presenza. Tutto è opera di tutti, la campagna come la città; ma se io voglio vivere la tensione che coglie l’unità di tutti e la loro cooperazione in atto e nel modo piú alto, cioè nei valori, ho bisogno di un raccoglimento particolare, di una contemplazione piú dall’intimo, di un silenzio, della rimozione di cure minute e amministrative, e anche della rimozione del lavoro.
La festa così diventa il sostegno più profondo del lavoro e del tempo libero, e come impastata con essi, un elemento, e come una luce, che li accompagna e li irrora.
La festa è tenacemente rivoluzionaria. In essa ci è dato cogliere che i tutti sono nel profondo un’unità. Annuncia una rivoluzione della quale abbiamo grande bisogno. In nome dell’uomo come “cittadino” e dell’uomo come “lavoratore”, sono state fatte due rivoluzioni; ma noi oggi possiamo cogliere che l’uomo…è anche altro e questo altro diventa un promovimento, a suo modo, dell’esser cittadino e dell’esser lavoratore; perché, sulla base di questo altro – di questo elemento celebrato nella festa –, il cittadino diventa appassionatamente aperto al potere di tutti e il lavoro viene aperto al contributo che da ogni essere viene alla produzione dei valori, che è la forma più alta del lavoro. Noi oggi dobbiamo costruire questa terza rivoluzione, questa volta aperta o nonviolenta, che possiamo chiamare anche religiosa, perché aperta ad una realtà che non è interamente conoscibile e misurabile, ed è in rapporto con la nostra prassi, con la nostra apertura o fede…Costruzione di una festa e costruzione di una rivoluzione.
E dunque sarebbe bello avere tutti un lavoro buono, quello promesso dall’art. 4, che concorre al progresso materiale e spirituale della società, rinforzato dalla festa goduta tutti insieme, ma ci sono difficoltà, come ci ricorda Sergio Endrigo.
scritto da Daniele Lugli, pubblicato in Azionenonviolenta