La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è uno dei paesi con la maggiore crescita demografica del continente africano. A tutt’oggi la popolazione ha raggiunto gli 83 milioni di abitanti, sparsi su un territorio particolarmente vasto e ricchissimo di risorse naturali, sia vegetali che minerarie. In modo particolare, le risorse minerarie costituiscono la ricchezza più promettente della repubblica, ma sono anche contestualmente l’elemento di contraddizione più eclatante. Un livello elevatissimo della corruzione inoltre costringe il Paese a dibattersi in una crisi costante, sia sotto il profilo politico che socio-economico.
Una storia radicata nel colonialismo europeo
La storia della RDC è attraversata, a partire dal XX secolo, dalla dominazione coloniale belga, che si è protratta dal 1908 al 1960.
La presenza del Belgio ha consentito interventi in due direzioni contrapposte: da un lato l’abile e prepotente sfruttamento del territorio, sia per ciò che attiene le risorse boschive e agricole sia per ciò che riguarda le risorse minerarie, mentre da un altro lato ha alimentato progressivamente molte rivendicazioni indipendentiste, pur nell’articolazione molto complessa della suddivisione tribale.
L’indipendenza ottenuta nel 1960 ha consegnato una repubblica profondamente divisa al suo interno, con una parte occidentale e una parte orientale connotate su basi etnicotribali, e una parte meridionale, coincidente con la regione del Katanga, impegnata in una guerra civile per la propria indipendenza da Kinshasa.
Gli scontri hanno visto il loro termine momentaneo con l’arrivo al potere di Mobutu Sese Seko, generale dell’esercito a capo di una dura dittatura militare, che ha promosso sistematiche violazioni della dignità umana e ha favorito un tasso di corruzione tra i più diffusi al mondo. Inoltre la difficoltà nel controllo di un territorio assai vasto, contrassegnato da scarse vie di comunicazione, in specie con l’est del Paese, ha determinato e aggravato una crisi pressoché permanente.
Il lascito della dominazione coloniale ha riservato al continente l’ennesimo caso di una repubblica ricchissima di risorse, contraddistinta da un aumento prodigioso della popolazione, ma assolutamente debole in ambito politico-istituzionale e segnata dalla distribuzione totalmente squilibrata della ricchezza.
Le ragioni dei conflitti attuali e l’abbandono della comunità internazionale
La fine del regime di Mobutu, che aveva anche cambiato il nome in Zaïre dal 1971 al 1997, ha visto il succedersi alla presidenza della repubblica Laurent Kabila, assassinato in una congiura di palazzo, e il figlio Joseph, tuttora illegittimamente alla presidenza.
L’illegittimità deriva dalla violazione aperta e clamorosa del dettato costituzionale congolese, che impedisce l’ennesima rielezione di Kabila e che prevedeva lo svolgimento di elezioni presidenziali fin dal dicembre 2016. A tutt’oggi Kabila resiste al potere con metodi prevaricatori, nonostante la forte opposizione di parte della società civile e della Chiesa cattolica, quest’ultima particolarmente radicata in quanto circa il 41% della popolazione professa il cattolicesimo. Le forti persecuzioni contro vescovi, sacerdoti e ministri laici sono indice di una difficoltà politica del regime, acuita dalla guerra civile in corso nelle regioni orientali, in modo particolare nelle province del Kivu del nord, del Kivu del sud, del Kasai e del Katanga.
Nel Kivu del nord operano gruppi di presunti ribelli, identificati dalla sigla delle “Forze Democratiche Alleate”, i quali hanno contatti diretti con Al-Qaeda e con gli Al-Shaabab somali. Pur avendo il Paese solo l’1% di popolazione di origine musulmana, la loro azione si sta mostrando particolarmente efferata, con uccisioni numerose e rapimenti al fine di ottenere riscatti e violenze di ogni genere. La motivazione religiosa è pertanto associata a ragioni essenzialmente di criminalità comune. Anche se la presenza delle truppe internazionali è ancora consistente, soprattutto a seguito delle guerre tribali tra Hutu e Tutsi del Rwanda e del Burundi, il loro mandato è pressoché inefficace e non consente alcun intervento a difesa della popolazione civile.
Nel Kivu del sud gruppi armati presidiano molte miniere di cobalto e, al fine di mantenere basso il prezzo del minerale, impediscono violentemente ai minatori adulti di lavorare, sfruttando invece orrendamente la manodopera infantile.
Anche in altre aree la situazione è tragica. Nell’estremo nord, nella zona del Bunia-Ituri, sono in corso saccheggi e massacri, mentre in due regioni del sud, nel Kasai ricco di diamanti e nel Katanga ricco di cobalto, si parla di massacri con migliaia di morti. I dati dell’Alto Commissariato per i rifugiati dell’ONU dicono che questi conflitti hanno prodotto negli ultimi tempi almeno quattro milioni di rifugiati interni e 750.000 bambini malnutriti, oltre a 400.000 minori a rischio di vera e propria morte per fame.
La comunità internazionale tace e pare disinteressata alle vicende della RDC o comunque pare restare in attesa, al fine di posizionarsi nel momento in cui la situazione trovasse qualche evoluzione.
Il tentativo di uscirne e le piccole speranze
La Chiesa cattolica, presieduta dall’anziano card. MonsengwoPasinyia, Arcivescovo di Kinshasa, ha dato il suo appoggio a un Comitato Laico di Coordinamento (CLC), diretta espressione dei cattolici congolesi, a cui si sono unite anche le Chiese protestanti, le quali attingono circa il 31% della popolazione locale.
L’obiettivo di ottenere la rinuncia al potere di Kabila al momento non è stato raggiunto, mentre lo stesso presidente della repubblica avrebbe fissato le elezioni tanto attese per il dicembre 2018. La forte repressione contro il CLC induce ad avere poche speranze.
Tuttavia l’eco delle migliaia di vittime innocenti, delle violenze sistematiche del potere, del dilagare della fame in uno dei Paesi potenzialmente più ricchi dell’Africa e di una corruzione ormai fuori controllo sta superando i confini della stessa Africa equatoriale e non è certamente interesse di nessuno vedere ulteriormente destabilizzata un’altra area del pianeta.
Da sempre al centro di conflitti e di violazioni della dignità umana, oggi la RDC necessita di un’urgente maturazione democratica e soprattutto del ristabilimento di condizioni dignitose di vita per decine di milioni di persone.
I recenti massicci investimenti della Repubblica Popolare di Cina, soprattutto nell’ambito minerario e delle costruzioni civili, hanno consentito un’incredibile inversione di tendenza, là dove il Paese, che negli ultimi decenni aveva avuto una perdita sistematica del PIL intorno al 3% annuo, ha cominciato a crescere fino al ritmo impressionante del 10,2% annuo.
La redistribuzione di questa rendita favorevole continua a essere impedita dai profitti enormi a favore delle classi dominanti locali e delle multinazionali.
La sfida sarà quella di fare cessare i conflitti e di garantire la redistribuzione equa e dignitosa della ricchezza. Sfida finora sistematicamente persa, ma anche tenacemente mantenuta aperta.
scritto da Egidio Cardini, pubblicato in Madrugada 110, rivista trimestrale di Macondo