Contributo alla statistica
Su cento persone:
che ne sanno sempre più degli altri
- cinquantadue;
insicuri a ogni passo
- quasi tutti gli altri;
pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
- ben quarantanove;
buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
- quattro, be’, forse cinque;
propensi ad ammirare senza invidia
- diciotto;
viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa <
- settantasette;
dotati per la felicità,
- al massimo poco più di venti;
innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
- di sicuro più della metà;
crudeli,
se costretti dalle circostanze
- è meglio non saperlo
neppure approssimativamente;
quelli col senno di poi
- non molti di più
di quelli col senno di prima;
che dalla vita prendono solo cose
- quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;
ripiegati, dolenti e senza torcia nel buio
- ottantatré
prima o poi;
degni di compassione
- novantanove;
mortali
- cento su cento.
Numero al momento invariato.
Wisława Szymborska (1923-2012), nata a Cracovia, in Polonia. La sua infanzia e la sua adolescenza sono funestate dallo scoppio della seconda guerra mondiale. La giovane Wisława è costretta a proseguire gli studi in clandestinità. Nel 1943, grazie al lavoro come dipendente delle ferrovie, evita la deportazione in Germania in qualità di lavoratrice forzata. Nello stesso periodo inizia anche la sua carriera artistica come illustratrice.
Si iscrive all’università nel 1945, ma non terminerà mai gli studi per il sopraggiungere di seri problemi economici. Ha però la fortuna di incontrare il saggista e poeta Czeslaw Milosz, Premio Nobel per la letteratura nel 1980, che la coinvolge nella vita culturale della capitale polacca.
La sua prima poesia, Cerco una parola, viene pubblicata nel 1945. Inizialmente tutti i suoi scritti subiscono la stessa sorte, in quanto devono passare il vaglio della censura. La sua prima vera e propria raccolta poetica - Per questo viviamo -, sarà pubblicata solo nel 1952. Eppure Wisława, come molti altri intellettuali in quel periodo, abbraccia l’ideologia socialista in maniera ufficiale, tramite cioè la partecipazione attiva alla vita politica del suo paese. Aderisce inoltre al Partito Operaio Polacco, rimanendone un membro fino al 1960. Più tardi prende le distanze da queste posizioni ideologiche, che lei stessa definisce «un peccato di gioventù» e rende pubbliche le sue riflessioni in una raccolta di poesie, Domande poste a me stessa, del 1954. Nonostante il suo allontanamento definitivo dal partito sia datato 1960, già prima si mette in contatto con i dissidenti e rinnega quanto scritto nelle sue prime due raccolte poetiche.
Le sue poesie, spesso molto brevi, sono costituite da versi liberi, scritti in maniera semplice e con una scelta accurata delle parole. Wisława Szymborska utilizza l’arma dell’ironia e del paradosso per affrontare problemi etici e umani di ampio respiro che diventano motivo di denuncia per lo stato delle cose. Anche se molte delle sue poesie non superano la lunghezza di una pagina, spesso toccano argomenti di respiro etico che riflettono sulla condizione delle persone, sia come individui che come membri della società umana. Non mancano, d’altra parte, aperte denunce di carattere universale sullo stato delle cose, specie a partire dagli anni Ottanta quando si intensifica la sua attività contestatrice, impegnandosi a favore del sindacato Solidarnosc.
Nel 1996 viene insignita del Premio Nobel per la letteratura. La motivazione che accompagna il premio recita: «per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà». Wisława Szymborska muore nel 2012 nella sua Cracovia.
In Italia le sue opere sono state pubblicate, prima da Scheiwiller editore, quindi da Adelphi. Tra le altre: Vista con granello di sabbia (1996); Uno spasso (2003); Appello allo Yeti (2005); Sale (2005); Grande numero (2006) tutte da Scheiwiller; La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009): Adelphi, 2009.
Pubblicato in Madrugada 110, rivista trimestrale di Macondo