Il processo di ricomposizione familiare si configura come una peculiare fase del ciclo di vita delle famiglie che affrontano le delicate tematiche della separazione e del divorzio, dell’abbandono o della perdita precoce di uno dei coniugi. Questo processo implica un intenso impegno da parte dei soggetti coinvolti sul piano personale, familiare e sociale volto, in particolare, a ridefinire e legittimare i confini del nucleo familiare.
Nelle famiglie ricomposte, la sofferenza psichica dei genitori e/o figli sembra dipendere anche dall'intersezione complessa di specifici processi socio-relazionali e delle sfide di sviluppo ad essi correlati. Meritano attenzione soprattutto l'interazione tra processi emotivi, processi identitari e processi psicosociali che devono approdare alla promozione dei fattori di resilienza capaci di moderare gli effetti dello stress personale, familiare e socio-politico sul funzionamento familiare e di coppia.
Questa nuova modalità di percepire le famiglie ricomposte è nata a partire dagli anni ‘90 per merito della sociologa francese Irène Théry, che ha sottolineato come lo sviluppo della famiglia ricomposta si regge non sul contratto tra partner, ma sui figli che “definiscono e costruiscono” la nuova coppia. Sono i figli che definendo le funzioni genitoriali equilibrate tra genitori biologici e genitori sociali determinano e caratterizzano l’unione della nuova coppia. Per questa ragione non è più possibile parlare di sostituzione dei genitori, ma di sovrapposizione di funzioni genitoriali. Di qui alla più consona definizione delle famiglie di genitori separati non come famiglie ricostruite, ma come ricomposte o rinnovate, dove meglio si esprime il nuovo ruolo del “terzo genitore” (con riferimento al figlio del nuovo partner) o di “genitore sociale” (con riferimento di distinzione di ruolo rispetto ali genitori biologici o di origine).
Le difficoltà che la famiglia ricomposta incontra a livello personale riguardano la rielaborazione delle seguenti esperienze:
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il vissuto connesso ai temi della vita nella famiglia di partenza;
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la ricomposizione familiare e la formazione della nuova coppia coniugale. Questo porta con sé il bisogno di legittimare la nuova unione e di costruire una solida identità familiare in grado di integrare i risvolti psicologici connessi alla precedente esperienza familiare;
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il vissuto personale dei figli che può comprendere conflitti di lealtà, la sensazione di essere trascurati, i cambiamenti indesiderati, i nuovi ruoli educativi.
Pertanto, le famiglie ricomposte si trovano a doversi riorganizzare (internamente ed esternamente) a seguito degli eventi peculiari che le caratterizzano. Tuttavia, possono manifestare una specifica vulnerabilità nel raggiungere una propria stabilità. Nella società contemporanea la famiglia ricomposta si presenta come una famiglia plurigenitoriale nella quale si verifica un’evoluzione delle relazioni familiari sul piano coniugale, su quello genitoriale e su quello che riguarda l’ambiente esterno.
Questa transizione prevede classicamente sei stadi cronologici di elaborazione della separazione:
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divorzio emotivo, costituisce lo stato nel quale si constata la fine dell'amore reciproco;
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divorzio legale, costituisce la fase di costruzione operativa del problem solving nel passaggio da coppia a single;
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divorzio economico, costituisce la fase di costruzione della separazione dei beni e la distribuzione delle future risorse sulla base della sopravvivenza economica della due parti;
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divorzio genitoriale, costituisce la fase di definizione dei diritti dei figli a continuare ad aver due genitori accudenti (e non il diritto dei genitori di avere l'esclusiva definitiva o temporale dei figli);
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divorzio dalla comunità, costituisce la separazione dal contesto parentale e amicale della coppia. Può essere parziale o totale. Per i figli è un atto doloroso che distrugge i loro vissuti di affetti e che quindi dovrebbe essere perseguito con grande cautela e attenzione;
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divorzio psichico, è lo stadio finale conclusivo della transizione nel quale le persone separate dovrebbero trovare la loro progettualità individuale, la fiducia nelle proprie effettive capacità, senza più contare sulla presenza del coniuge.
Ancora oggi, secondo molta opinione pubblica, la formazione di una famiglia ricomposta viene percepita come un evento in cui vengono sacrificati gli interessi dei figli per quello degli adulti, in considerazione dell’ampia libertà lasciata in capo agli adulti di autodeterminarsi nell’ambito della vita privata. Mentre alcune osservazioni in merito sono basate più da pregiudizi sociali che da concretezza, alcune meritano attenzione soprattutto perché la precarietà dei rapporti fra adulti non si traduca in una precarietà dei rapporti tra adulti e bambini determinando la mancanza di un contesto familiare incondizionato e stabile.
Per questo motivo, è opportuno che nel processo di ricomposizione familiare si porti attenzione al modo in cui vengono suddivisi i tempi coniugali e genitoriali affinché i coniugi risolvano i “fantasmi” del passato connessi alle precedenti esperienze matrimoniali (e, di conseguenza, ai rapporti con gli ex coniugi) e siano in grado di esercitare in modo consapevole la genitorialità. In questo modo anche il figlio potrà vivere in un contesto familiare affettivamente stabile che gli possa assicurare affetto, istruzione e mantenimento.
Per poter affrontare la rottura e salvaguardare al tempo stesso il benessere affettivo del bambino è opportuno considerare in maniera separata la coniugalità e la genitorialità poiché mentre la prima è la dimensione relazionale della coppia, legame dismesso proprio dei partner, la seconda è la dimensione del rapporto genitore-figlio, legame che continua ad appartenere ai genitori anche se separati dato che rimangono genitori senza più essere una coppia. Interiorizzare questo comportamento significa favorire il benessere del bambino, così da evitare il rischio che il piccolo debba vivere il trauma dell’abbandono.
Con la separazione coniugale e il perdurare del ruolo genitoriale si generano,“costellazioni familiari” che determinano una vera e propria rete parentale allargata in cui il bambino “fa da ponte” da un nucleo familiare ad un altro. I nuovi partner dei genitori biologici separati vengono a loro volta coinvolti all’interno di questa rete poiché ereditano la storia coniugale dell’altro e il rapporto con il figlio, divenendo genitori sociali acquisiti. Ne consegue che di fronte a tali sconvolgimenti sociali, personali e familiari la responsabilità genitoriale si esprime con successo nella capacità degli adulti di rassicurare i figli di fronte ai cambiamenti che sono stati loro imposti.
Una delle evoluzioni più frequenti nelle famiglie separate è la formazione di una famiglia monogenitoriale composta da una madre e figli non adolescenti, e da un padre che può svolgere la funzione paterna o a tempo parziale o a tempo equivalente alla madre.
Al di là della suddivisione del tempo di genitorialità si può verificare in questa fase una iper-responsabilizzazione della madre, presso la quale i figli vengono domiciliati e una de-responsabilizzazione del padre, il quale deve affrontare il rischio di una lenta rinuncia della genitorialità attiva.
Sul fronte materno la situazione si presenta non meno rischiosa dato che le responsabilità e la gestione dei figli ricadono esclusivamente su di lei con un notevole impegno e la possibile nascita di problemi di svincolo e di autonomizzazione per il figlio con la creazione di relazioni anomale di figli “eterni bambini”, di “pseudo partner” o di “inversione di ruoli” o di “un’emancipazione precoce”.
In Europa, ma in particolare in Italia, lo status di madre sola si colloca oggi all’interno dei mutamenti sociali e culturali che si riconducono ad un “processo di ridefinizione della genitorialità”: la donna percepisce il proprio rapporto di coppia come non più appagante e sereno divenendo più propensa a chiuderlo piuttosto che restare oppressa. Non a caso non si deve dimenticare che le richieste di separazione sono il larga maggioranza formulate dalle donne.
Dall’altra parte, gli uomini italiani nella maggioranza tendono a sfumare le proprie responsabilità genitoriali rimanendo genitorialmente sullo sfondo o limitandosi ad un autoritarismo legato all'essere “fornitore del pane”. Ancora oggi tradizionalmente trovano risposta nel fatto che “la rappresentazione di sé come padre resta profondamente connessa all’archetipo della relazione con la madre dei propri figli”. Nei pari separati spesso la separazione determina non solo la perdita affettiva della compagna, ma anche il tradimento dell'immagine della loro madre sempre e solo dedita la loro bene. Di fatto sono adulti ancora adolescenti che trovano nel matrimonio la possibilità di ripetere in gran parte il modello, il vissuto, familiare in cui sono cresciuti. Per loro il matrimonio non è stato l'evento che ha rivoluzionato il loro stile di vita, ma il mezzo per perpetuarlo.
Nella donna questo accade più raramente dato che tende più volitivamente a costruirsi modello affettivamente autonomo di relazione più interiormente profondo, ben sapendo che l'arrivo di un figlio la impegnerà totalmente. È per questo che quando si accorge che il proprio partner perpetua stilemi di adolescente autoritario e di padre a tempo perso, cioè di padre che si impegna solo se ne ha voglia” che decide, se ne ha le possibilità, di troncare la relazione di convivenza.
Riassumendo dopo la separazione coniugale sono tre i modelli prevalenti che socialmente si vengono a formare:
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Diade dissolta. Si parla di “diade dissolta”, quando in seguito alla separazione si viene a formare un nucleo familiare esclusivamente monogenitoriale per via dell’assenza o “scomparsa” del padre biologico, che non svolge più nessuna funzione genitoriale. Sotto questo punto di vista, in tali famiglie si riscontrano meno problematiche e resistenze nella definizione dei ruoli familiari poiché l’eventuale assenza del padre biologico rappresenta un vuoto che può essere colmato prontamente dalla figura genitoriale acquisita e dalla sua famiglia di origine. Ciò significa che l'assenza del padre biologico può favorire la funzione genitoriale del nuovo compagno della madre, specie se il figlio è in tenera età.
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Genitori collaboranti. È la condizioni migliore, ma non è esente da impegno dovendo trovare intesa e concordia da parte di genitori che devono aver raggiunto una pace psichica nella consapevolezza reciproca degli errori commessi e nella volontà collaborativa di operare uniti per il bene dei figli. La difficoltà sta nel fatto che bisogna tenere alto il dialogo costruttivo con i figli e il proprio precedente partner. Solo in parte si possono stabilire regole di comportamento definitiva, mentre nella maggioranza dei casi bisogna inventare il comportamento adatto alla crescita dei figli agendo caso per caso, situazione per situazione, dove si alterneranno situazioni in cui bisogna essere rigidi entrambi e permissivi entrambi, senza esercitare la negozialità attraverso il figlio, ma essendo con lui normativamente coesi e negoziali verso il proprio ex partner. Una condizione che esige un lungo e delicato impegno reciproco.
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Nemici furenti. All’interno di questa categoria rientrano i casi di conflitto più estremo, dove viene a mancare qualsiasi possibilità di collaborazione tra ex coniugi, i quali, anzi, frequentemente si rivolgono ai Tribunali affinché la genitorialità venga gestita legalmente. Il rischio più grande è rappresentato dal modo in cui il conflitto si esprime, in quanto il bambino è direttamente coinvolto e ampiamente strumentalizzato nell’intera battaglia, spesso vivendo con sofferenza e con sensi di colpa la rinuncia al rapporto con il genitore non affidatario.
scritto da Alessandro Bruni
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