La vulnerabilità rappresenta una condizione di vita in cui l’autonomia e la capacità di autodeterminazione è permanentemente minacciata dall'integrazione sociale e dalla distribuzione delle risorse.
La vulnerabilità è oggi uno dei problemi più grandi della nostra società, nella quale l'individuo si confronta con lo smarrimento del presente e la paura del futuro. La società pone all'individuo con sempre maggiore rilevanza la quotidianizzazione del rischio, tanto che i rischi non riguardano più solo il singolo soggetto, ma la società nel suo incedere.
Per questo “vulnerabilità sociale” è divenuto termine oggettivo avendo valicato il suo presupposto soggettivo di partenza concorrendo a indicare gli effetti di quei cambiamenti socio-economici che nel corso degli ultimi decenni hanno eroso gli assetti tradizionali della vita della famiglia e della società civile (Cervia, 2014). È una condizione che si può determinare da un momento all'altro nell'individuo e nella sua famiglia e che quindi condiziona la nostra capacità di fare dei progetti. Avere in casa un anziano o un malato cronico disabile o un bambino con un grave deficit cognitivo cambia la vita delle persone che da normalmente equilibrate divengono loro stesse, come i congiunti, espressione di vulnerabilità sociale. È sempre accaduto, ma oggi si vive una condizione di progressivo peggioramento della situazione di vulnerabilità, non solo per i migranti, ma anche per i giovani, gli anziani, gli sfruttati, i malati, più poveri e i border line sociali.
Perché la vulnerabilità si diffonde?
Le ragioni di questa crisi epocale è dovuta alla crisi delle tre istituzioni che recavano in sé il principio di stabilità: il lavoro, la famiglia, il sistema di wefare sociale.
Accanto alle classiche fasce dei soggetti vulnerabili, anziani, soggetti a dipendenza da alcool o droghe, persone con fragilità o malattie psichiche, si annoverano i nuovi vulnerabili: gli oppressi dalle responsabilità, uno stigma sociale che porta inevitabilmente alla depressione violenta che sfocia in aggressività nemmeno più calmierata da un sistema sociale di cura o almeno di prevenzione. L'aggressività verbale domina la scena politica, i mezzi di comunicazione ed è diventato un mezzo per affermare nell'anonimato la propria vulnerabilità che si scarica verso l'altro individuato come colpevole del proprio stato depressivo.
La vulnerabilità è oggi strettamente connessa sia con la diseguaglianza percepita e sia con la difficoltà dell'offerta del mercato del lavoro, della famiglia, del welfare sociale. Si conferma quanto già Sennett diceva le lontano 2003: diversi si nasce, disuguali si diventa.
Il mercato del lavoro dominato dalla grande impresa ha garantito una piena occupazione a tempo indeterminato, che ha contribuito non solo a soddisfare i bisogni personali dei lavoratori ma anche quelle delle loro famiglie. Il lavoro ha condizionato lo sviluppo di aspirazioni sociali, favorendo un livello maggiore di istruzione e processi di mobilità sociale. Inoltre, il sistema di welfare assicurativo, garantiva conto il rischio di malattia. Questo meccanismo ha iniziato a non funzionare perché sono entrate in gioco sia le trasformazioni della struttura economica della società, sia quelle della struttura demografica della popolazione e sia i cambiamenti culturali nel passaggio dal rifiuto intellettuale al populismo più becero.
A tal riguardo se precedentemente gli assetti di welfare prevedevano un rischio sociale configurato come un evento che poteva colpire incidentalmente la vita delle persone normali, per un periodo di tempo circoscritto, attualmente questi rischi sono sostituiti da rischi che diventano parte integrante della vita quotidiana non prevedendo per l'individuo un futuro certo, ma incerto (lavoro, famiglia, pensione, spese sanitarie, capacità personale di comprendere il funzionamento delle istituzioni sociali, dagli ospedali alla pubblica amministrazione).
In questo humus sociale ove tutti sono colpevoli e tutti indicano nell'altro il colpevole, le conseguenze della vulnerabilità sociale sono:
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l’estensione del rischio, con aumento del numero di persone esposte;
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la vulnerabilità sociale può colpire senza distinzione di status sociale. Il ricco può delegare le sue responsabilità sociali, ma con la consapevolezza che a quel che accade al suo genitore in carrozzella capiterà in forma più grave a lui stesso. Di qui ad un aumento dello stress per non riuscire a fare qual che dovrebbe fare;
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il rischio di vulnerabilità non potrà che raramente essere temporaneo, ma diverrà duraturo nel lungo tempo essendo sempre meno vicariato da un sistema sociale organizzato;
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la vulnerabilità sociale ricadrà sull'individuo personalizzando il disagio in modo diverso rendendolo disuguale. Ovvero accentuando lo stress di incapacità di assunzione di responsabilità.
Chi è più esposto alla vulnerabilità sociale?
La vulnerabilità sociale colpisce soprattutto le nuove generazioni (i single, i nuclei familiari in cui l’età dei componenti è inferiore ai 40 anni, con figli piccoli o con capofamiglia donna, ecc.). Le ragioni di questa selettività sono note e chiare: il calo demografico, l'aumento degli anziani e della popolazione inattiva, l'aumento di giovani che non trovano (o non cercano) lavoro, la criticità del lavoro stesso (incertezza, instabilità). Il tutto aggravato dal non possedere una "riserva" economica da cui poter attingere nei momenti di difficoltà. Il tutto aggravato da una emorragia dell'umanità che ci coinvolge nei pensieri più chiusi di un populismo oscurantista.
Eppure, sul piano evolutivo, le nostre fragilità e le nostre vulnerabilità sono dei tesori incommensurabili. Più aumenta la nostra forza e più aumenta la nostra capacità di vedere e accogliere le nostre debolezze, più aumenta la nostra chiusura e la nostra ignoranza e più diminuisce la nostra capacità di sentire e comprendere i nostri limiti. Sono situazioni noti in un tessuto sociale egocentrico, individualista, che nega non solo l'altro, ma anche il noi familiare.
Dobbiamo constatare di vivere in una società ottusa fondata sul mito dell'uomo forte (sia in politica che nella società) che non conosce fragilità e vulnerabilità. Se ben osserviamo lo stato di fatto sociale, facilmente comprendiamo quanto questa concezione della vita renda le persone unicamente insensibili, superficiali ed egoiste.
L'antidoto è la vera forza che nasce dalla capacità di accettare la nostra fragilità, perché solo da questa condizione possiamo sperare di incontrare e conoscere veramente quel che ci circonda. Dobbiamo essere in grado di sentire completamente tutto quel che vive dentro e fuori di noi con una riflessione culturale collettiva, e che offra coordinate di riferimento. Per questo bisogna sostenere «i processi generati dalla riflessività», come compito vitale di una nuova politica che non si chiuda parrossisticamente nella ricerca di colpevoli, ma che si elevi a nuovi modelli di pensiero tesi alla presa in carico piuttosto che al respingimento dell'umanità. Perché mettersi nei panni degli altri è il primo passo per costruire un mondo più giusto, dove riconoscersi diversi come persone e uguali come cittadini.
Occorre però superare quello che Amartya Sen definisce “feticismo delle politiche” (1993). Sen afferma che, per valutare il tenore di vita, non è utile domandarsi di quali beni dispongono i soggetti piuttosto che cosa essi sono in grado di fare con questi beni, solo così sarà possibile comprendere i bisogni espressi. Quindi il presupposto è domandarsi cosa i soggetti sono in grado di fare rispetto agli strumenti forniti per sostenerli.
Ha futuro il welfare che conosciamo? Se da un lato l'individualismo ostacola il passaggio dall'io al noi, dall'altro la valorizzazione delle capacità sta ottenendo indici promettenti di costo/efficacia e di impatto sociale (Fondazione Zancan, 2018). È una grande sfida per i sistemi locali di welfare, troppo allenati a leggere i bisogni e non le capacità. È invece urgente superare le pratiche assistenzialistiche, fatte di trasferimenti e di pochi servizi, che di fatto sono una forma di lotta alla povertà, ma senza i poveri.
Dobbiamo rivalutare il rischio di vulnerabilità senza subirlo rivalutando la dimensione attiva, realizzando un «welfare delle opportunità», il cui scopo è di aiutare i soggetti ad affrontare il rischio. Tutto questo è possibile solo attraverso l’affermazione di un'etica della responsabilità che passi attraverso la gente che da sudditi divengano attori protagonisti del loro futuro non escludendo il rischio, ma fornendo loro gli strumenti per governalo. Bisogna contrastare questa emorragia di umanità, questo cinismo dilagante alimentato dagli imprenditori della paura. L’Europa moderna non è questa. L’Europa moderna è libertà, uguaglianza, fraternità.
Fonti consultate
- Cervia S. (2014) Nuove povertà. Vulnerabilità sociale e disuguaglianze di genere e generazioni. Pisa University Press.
- Sennett R. (2003) Respect in a World of Inequality, Penguin, London, 2003 (trad. it. Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, Il Mulino, Bologna, 2004).
- Sen A. (1994) La diseguaglianza, Il Mulino.
- Fondazione E. Zancan (2018) Se questo è welfare. La lotta alla povertà. Rapporto 2018. Il Mulino.
scritto da Alessandro Bruni