Nella Torà
I livelli dello spirito
In ebraico esistono diversi vocaboli per esprimere il concetto di “spiritoanima”, i più conosciuti sono: nefesh, ruach e neshamà.
La parola spirito, ruach, appare per la prima volta nella Torà nei primi versi di Genesi: «In principio, Dio creò il cielo e la terra. La terra era sterminata e vuota, le tenebre erano sulla faccia dell’abisso e lo spirito, ruach di Dio si librava sulla superficie delle acque. Dio disse: “Sia luce”. E luce fu» (Genesi 1:1-3).
Il termine nefesh appare quando Dio disse: «Brulichino le acque di un brulicame di esseri viventi, nefesh chayà» (1:20). E, infine, neshamà appare nel verso che parla della creazione dell’uomo: «Il Signore Dio formò l’uomo di polvere della terra, gli ispirò nelle narici il soffio vitale, nishmat-chaiim, e l’uomo divenne essere vivente» (2:7).
Nefesh, ruach e neshamà esprimono i gradi di vitalità esistenti nella creazione e i diversi livelli dell’anima umana che hanno sede nel corpo. L’energia più alta si concentra nella mente, luogo del pensiero e sede dell’anima elevata, neshamà, mentre ruach, spirito, risiede nel cuore sede delle emozioni e nefesh, il soffio vitale (anima inferiore) che anima il corpo fisico è nel fegato.
Il governo equilibrato delle parti
La parola re, melekh, è acronimo di cervello, moach, cuore, lev e fegato, khaved. Il re è colui che possiede la consapevolezza e la conoscenza che gli permettono di gestire i sentimenti e gli istinti. Questa persona governa la propria vita, il proprio “regno” privato vivendo tutte le sue parti in modo equilibrato.
La tendenza della persona è quella di vivere adottando una di queste dimensioni; infatti, ci sono persone che usano in prevalenza la testa, altre il cuore, altre gli istinti e perdono in tal modo la natura originaria di uomo fatto a “Sua immagine e somiglianza”. Il primo uomo conteneva in sé tutta la creazione, in altre parole i quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. La salute corporea e psichica dipende dall’equilibrio tra i quattro elementi della creazione e dalla loro interazione.
Rapporto uomo-donna
Se l’uomo è stato creato dalla terra e dal soffio vitale, due componenti tra di loro opposti, la donna è stata costruita da Dio da una costola, tolta all’uomo addormentato. La costola è un osso: la donna, quindi, è la struttura portante, è l’interiorità, il fondamento che non si consuma facilmente. Osso, in ebraico, si dice ’etzem, da cui derivano le parole: potenza, autentico, di se stesso, indipendenza. Con la sua qualità di sostegno interno, la donna è l’elemento strutturante dell’uomo e non solo, della psiche umana.
L’elemento femminile è lo scheletro che collega la parte “cielo” della persona, che sarebbe il cervello, luogo del pensiero e della creazione umana, con il cuore, simbolo della terra feconda che accetta e fa germogliare i semi della conoscenza. Sarà poi compito delle mani tradurli in fatti veri e propri. Il cuore è il ponte tra la conoscenza e la sua realizzazione.
Vento e il respiro luce della parola
Tornando ai primi versi di Genesi, ruach, spirito, è anche il vento che soffia in superficie, ’al pnè, letteralmente sulla faccia, sul punto di contatto tra ciò che è nelle profondità e ciò che emerge nell’esistenza contingente, mentre le acque sono la matrice di ogni forma di vita e simbolo di rinnovamento. Lo spirito è un vento che crea movimento tra ciò che è interiore e ciò che è esteriore ed è per questo che re Davide nei Salmi chiede: «Creami un cuore puro, o Dio, e immetti in me un nuovo spirito stabile (giusto)» (51:12).
Le acque, la forza dello spirito e il respiro sono le via d’uscita dalla stasi, dall’abisso; dal respiro nasce un suono, dal suono un significato espresso in parola: «Dio disse: “Sia luce”. E luce fu». La parola concepita nelle tenebre del pensiero caotico è la luce che guida le azioni. «Dio vide che la luce era buona».
Nella liturgia ebraica, non solo l’uomo loda il Signore ma ogni organo dedica un canto al Creatore: «Ogni bocca Ti loda, ogni lingua Ti esprime un giuramento, ogni occhio Ti attende e ogni ginocchio s’inginocchia davanti a Te e tutti i cuori Ti osservano, le parti interne e i reni cantano dinnanzi il tuo Nome» (dalla preghiera Nishmat kol chai); ma perché sono proprio gli organi che lodano Dio? Per il semplice fatto che l’anima non si può esprimere in questo mondo senza l’aiuto della materia, in questo caso, il corpo. Ogni respiro, neshimà, è un canto dell’anima, neshamà. L’uomo inconsapevole è paragonato agli idoli: «... hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non sentono, hanno il naso e non sentono gli odori; hanno le mani ma non possono tastare, hanno le gambe ma non possono camminare, né possono trarre nessun suono dalla loro gola. Possano coloro che li hanno fatti divenir simili ad essi, e così pure tutti coloro che fidano in essi» (Salmi 115:5-8).
scritto da Yarona Pinhas, pubblicato in Madrugada 62
Il Corano
Spirito, anima, occhi e cuore
Nella rivelazione coranica il termine ruh, tradotto normalmente con spirito, compare in tutto venti volte (poche). È legato a due contesti: alla creazione dell’uomo e a quello della rivelazione. Creazione e rivelazione sono dunque l’ambito dove lo Spirito agisce:
- creazione dell’uomo (3 versetti) «Quindi gli ha dato forma e ha insufflato in lui del Suo Spirito. Vi ha dato l’udito, gli occhi e i cuori. Quanto poco siete riconoscenti!» (32,9).
- creazione del Profeta Gesù, pace su di lui (7 versetti su 20, in cui compare il termine, parlano di Gesù e Maria, pace su di loro). «A Gesù figlio di Maria abbiamo dato prove chiare e lo abbiamo coadiuvato con lo Spirito di Santità…» (2,253).
Lo Spirito veicola la rivelazione: «Lo ha fatto scendere lo Spirito di Santità, con la verità inviata dal tuo Signore, per rafforzare coloro che credono, come guida e buona novella per i musulmani…» (16,102).
Lo Spirito rende saldi, è Spirito di santità: «Egli ha impresso la fede nei loro cuori li ha rafforzati con uno spirito proveniente da Lui…» (58,22).
Lo Spirito è dunque nel Corano una realtà misteriosa, di cui sappiamo poco, procede dall’ordine del mio Signore e non avete ricevuto che ben poca scienza a riguardo… Ma creazione e rivelazione si compiono attraverso di Lui, per volontà dell’Onnipotente.
Nafs
Il termine nafs invece compare un grandissimo numero di volte, sia al singolare che al plurale. Cerchiamo di fare emergere i suoi tratti principali come ci appaiono dai versetti coranici.
Origini: nei versetti che riguardano la creazione vengono sottolineate due cose molto importanti: l’unità del genere maschile e femminile e di tutta l’umanità derivata, da una sola nafs che è al tempo « … Suo Spirito… l’udito, gli occhi e i cuori…». «Temete il Signore che vi ha creato da una sola nafs…» (4,1).
Ci dicono anche come il peccato sia in verità un andare contro se stessi, contro la propria nafs, e la salvezza avviene dalla Misericordia di Allah, attraverso il pentimento.
«Chi agisce male o è ingiusto verso la sua anima e poi implora il perdono di Allah, troverà Allah perdonatore, Misericordioso» (4,110).
Storia terrena
Questo concetto è ribadito un numero considerevole di volte, chi pecca lo fa a proprio danno: perché l’anima è qualcosa di donato, come un tesoro iniziale donato da Dio con la vita stessa, su cui noi abbiamo potere, possiamo seguire il male o il bene, questa terra è il laboratorio della “possibile salvezza”.
«E conosciamo ciò che gli sussurra l’animo suo…» (50,16).
«Chi è sulla retta via lo è per se stesso e chi se ne allontana lo fa solo a suo danno…» (10,108).
La storia di Giuseppe è un esempio delle scelte della fragilità e forza della nafs, quando si appoggia a Dio: «Egli l’ha resa folle d’amore. Ci sembra che abbia del tutto smarrita la sua nafs…» (12,30).
Nessuno è tenuto a dare ciò che non ha, Dio è giusto e vuole solo il bene: «Allah non impone a nessun’anima un carico al di là delle sue capacità…» (2,286).
La nafs è sacra, viene da Dio, nessuno può uccidere un’anima impunemente, solo Dio può dare la morte: «Nessuna anima muore se non con il permesso di Allah…» (3,145). «Che chiunque uccida un uomo… sarà come avesse uccisa l’umanità intera…» (5,32).
Il Giudizio
Viene il giorno in cui non si potrà più cambiare l’orientamento della propria nafs: «Colà (nel giorno del giudizio ndr) ogni anima subirà le conseguenze di quello che già fece…» (10,30). La nafs è dunque l’essere umano, ma non è una materia inerte, preordinata, contiene un dover essere che la guida verso la sua realizzazione. Per la sua fragilità l’uomo a volte non ascolta la voce di questa istanza, ma segue “i suoi sussurri”, nella rivelazione coranica, infatti, l’uomo è salvato nella misura in cui si abbandona a Dio. Come ben dice Giuseppe, pace su di lui, l’anima è propensa al male, smarrisce la strada, è una realtà in combattimento. «In verità abbiamo creato l’uomo perché combatta», in un dover farsi. Solo nel timore profondo di Dio, si evita l’ingiustizia.
Il ruh, dona la vita all’uomo e gli parla le parole di Dio, affinché questa stessa vita, da Lui animata giunga al suo porto.
«Straordinaria vicenda quella dei figli di Adamo.
Creati per contenere qualcosa dello Spirito,
distratti o corrotti ne trascurano spesso l’esistenza.
Polmoni senza aria, cuori senza sangue,
conducono un’asfittica, sincopata esistenza
senza neppure capirne la ragione.
Talvolta un raggio di luce risveglia...».
(da “Luci prima della luce”di Hamza R. Piccardo, Al Hikma, Imperia 2006)
scritto da Hamza R. Piccardo, pubblicato in Madrugada 62
Il Nuovo testamento
Anima e spirito
Come possiamo interpretare la parola anima (oltre lo schema dualista di origine greca che ha impregnato tutta la nostra cultura classica) in un linguaggio attuale che rappresenti i nostri vissuti in un orizzonte di fede?
Spirito: di noi la parte profonda
«Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo nome». [Salmo 103,1]
Sarà capitato anche a voi di pregare con le parole di questo salmo durante una celebrazione eucaristica o in un momento di raccoglimento personale.
Anima, credo, rappresenti innanzitutto la parte più profonda e vitale di noi stessi, quella che abitiamo in solitudine, il cui accesso è limitato a pochi intimi, certamente luogo d’incontro con il nostro Dio.
In essa, quando riusciamo ad abitarla, diveniamo consapevoli del susseguirsi di esperienze ed emozioni le più diverse: sentimenti di gioia e di felicità intense, di pace e di armonia in un quotidiano sereno, ma anche delle contraddizioni di momenti di rabbia, di sconforto, di amarezza profonda.
Felici da traboccare in un salmo di lode, oppure accasciati nella sfiducia, nell’incomprensione, nel disorientamento: «Ora l’anima mia è turbata. Che debbo dire? Padre salvami da quest’ora» [Gv. 12,27].
L’Evangelista Giovanni mette sulle labbra di Gesù nell’Orto degli Olivi questa invocazione in cui possiamo attribuire alla parola anima lo stesso significato del salmo.
Anima: il luogo simbolico della nostra intimità, dove il desiderio di vivere si esprime in mille sfumature, dall’essere come una goccia di rugiada al sopraggiungere di un nuovo giorno o come una lacrima che sgorga gratuita, espressione di dolore e gemito.
Anima: luogo di incontro con noi stessi dove la luce della verità svela sempre la nostra nudità, quella che a volte facciamo fatica a guardare e a incontrare perché appare miseria, pochezza, fragilità, ma che se abbiamo il coraggio di accogliere fino in fondo sprigiona mistero, bellezza, fascino, dinamismo di vita che ci sorprende, struttura e riveste il nostro nome della sua reale identità.
«Signore, noi speriamo in Te,
al tuo nome e al tuo ricordo si volge
tutto il nostro desiderio.
La mia anima anela a Te di notte,
al mattino il mio spirito ti cerca».
[Is. 26, 8-9]
Anima: desiderio di vita e di amore
Forse, in questo nostro tempo, senza rendercene conto, siamo scivolati tutti in forme di materialismo sottile e strisciante, rappresentato dalle incontabili esteriorità dei nostri consumi indotti, delle nostre apparenti e inappaganti certezze.
«Quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la sua anima? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della sua anima?» [Mt.16,25-26].
Forse in questo nostro tempo, dove tutto diventa valore solo in confronto al denaro, dovremmo cercare e alimentare i tanti germogli di inquietudine, di ricerca, che esprimono il nostro bisogno di vita e di vita condivisa nel rispetto della natura e del mondo che ci circonda.
«Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova. “Maestro, che debbo fare per ereditare la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella legge? Che cosa vi leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. E Gesù: “Hai risposto bene; fa questo e vivrai”» [Lc.10, 25-28].
Imparare ad amare il “nostro” Dio, con tutta la nostra anima, con tutta la nostra interiorità, l’anelito al Bene, la tensione verso l’Oltre, la ricerca di senso nell’andare viandante di ogni giorno, quella che ci permette di incontrare gli altri nell’ottica del dono e della reciprocità.
Mi piace tradurre quel “tutto” che risuona nel vangelo, non tanto nel senso di un tutto-tondo ideale o di perfezione, ma nel senso di energia, intuizione, presenza di cui sono capace oggi, in questo tempo, in questo istante, cercando di non perdere l’occasione, senza sterili confronti con schemi e modelli astratti che diventano giudizi taglienti su noi e sugli altri.
«La moltitudine dei credenti aveva un cuore e un’anima sola» [Atti 4,32].
Con questa immagine di unità e sintonia profonda gli Atti degli Apostoli ci presentano il lavorio di presenza e di testimonianza dei primi fratelli riuniti nella fede del risorto.
Alimentando la nostra interiorità, diventiamo piano piano capaci di armonia, di equilibrio di condivisione e di progettualità solidale, di gesti che solo la creatività dell’Amore può far germogliare in noi e tra noi.
Un numero sempre più grande di persone prende consapevolezza della necessità di cercare percorsi inediti per dare spazio alla propria dimensione profonda, là dove il desiderio di relazione con se stessi e con Dio resta vivo e pulsante come il cuore di carne che ci permette la vita fisica.
Benedetti coloro che, credenti, non credenti o diversamente credenti, seguendo le orme dell’intuizione e della nostalgia cercano nell’ascolto, nel silenzio, in scelte alternative di vita, i contorni della propria anima.
scritto da Agnese Mascetti, pubblicato in Madrugada 62