Nella Torà
Corpo di luce, corpo di terra
«Di-o creò l’uomo a Sua immagine; lo creò a immagine di Di-o; creò maschio e femmina. Di-o li benedisse: prolificate, moltiplicatevi, empite la terra» (Genesi 1: 27).
Quando Adam fu creato, gli angeli lo confusero con Di-o, tanto era illuminato e il suo corpo di luce si espandeva da un punto dell’universo all’altro. Questo corpo fu chiamato zehira ‘ila’a, splendore superiore, e in questa fase il nome Adam viene inteso come edamè l’eliòn, simile al Superiore. Il secondo capitolo di Genesi descrive un’ulteriore sviluppo nella sua creazione: «Il Signore Di-o formò l’uomo di polvere della terra, gli ispirò nelle narici il soffio vitale, e l’uomo divenne essere vivente» (2:7). Come possiamo integrare le due versioni del testo? Il primo capitolo parla del principio vitale che anima la creazione, un “ente” essenziale in sé autonomo e autosufficiente, una cellula prima. In potenza ogni forma di vita era compresa e possibile al suo interno e il concetto della compresenza degli opposti nello stesso insieme assume un valore speciale in quanto l’immagine creata da Di-o ha in sé la completezza divina.
Quando Di-o benedice la sua “mega creatura dormiente” innesca il processo di differenziazione, ovvero fa sì che inizino tutti quei processi dinamici, chimici, fisici, cinetici e altro.
Nel secondo capitolo troviamo un ulteriore passo in avanti nel processo di creazione differenziata e dinamica: i due principi maschile e femminile si separano. Di-o crea la donna dall’osso, la struttura portante e interna del corpo di Adam formato dalla polvere della terra e dal soffio vitale.
Il corpo di luce conteneva in sé tutta la creazione: la terra, i cieli, gli oceani e le stelle o in altre parole i quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Terra, perché fu tratto dalla polvere; aria, il soffio vitale ispiratogli da Di-o; l’acqua, gran parte del corpo umano contiene liquidi; e infine l’elemento fuoco, esh, che scatura dalle diverse funzioni corporee e celebrali, ma soprattutto quando l’elemento maschile incontra quello femminile.
Dopo l’aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza che divise l’esistenza umana in bene e male, il corpo di luce, l’Anima, si divise dal corpo: «Il Signore Di-o fece per Adamo e per sua moglie delle tonache di pelle e li vestì» (3:21).
L’uomo cadde da un mondo che era completo e privo di contrasti a una dimensione parziale, dove il bene e il male sono realtà sensibili e danno vita a un caos esistenziale.
Spiega il midrash: «Le parti superiori sono state create a immagine e somiglianza di Di-o e perciò non si moltiplicano, mentre le parti inferiori prolificano e si espandono. Disse il Santo Benedetto: “Se lo creo solo dalle parti superiori, vivrà in eterno, mentre se solo da quelle inferiori, morirà; perciò l’ho creato da entrambi i componenti. Se pecca, morirà, e se no, vivrà”» (Genesi Rabà 8). Il corpo umano è una meraviglia proprio perché manifesta in terra la presenza divina che creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Quindi, possiamo conoscere Di-o meditando sulla funzione di ogni organo nel corpo, come dice Giobbe: «Dalla mia carne vedrò il Signore» (19:26). Il corpo stesso esprime forze spirituali celate ai nostri occhi per il semplice fatto che, vivendo nel mondo materiale, la visuale dell’uomo riesce con difficoltà a concepire ciò che è privo d’immagine e corporeità. La parola organo, evar, è composta dalle stesse lettere di barà, creazione e briùt, salute. La salute degli organi è una nostra creazione. Ogni organo, ogni osso, ogni fibra serve a incanalare e realizzare forze superiori velate ai nostri occhi: l’anatomia del corpo è parallela a quella dell’anima.
Ogni ebreo è chiamato ad osservare 613 mitzvòt, precetti, ricevuti con la Torà sul Monte Sinai e suddivisi in 248 positivi, collegati agli organi e 365 negativi, relativi al sistema di trasmissione nervoso e motorio. I precetti positivi sono collegati al mondo materiale, maschile, mentre i 365 negativi agli organi interni, al femminile. Perciò fu creato prima l’uomo, o in altre parole, l’esteriore e, solo dopo, la donna, l’interiore.
Adempiere ad un precetto equivale a “nutrire” la parte del corpo corrispondente. Ogni organo, a sua volta, ha un corrispettivo nel mondo spirituale, che è la vera fonte di nutrimento. Il rispetto di ogni precetto ha di conseguenza un effetto sia nel microcosmo che nel macrocosmo.
scritto da Yarona Pinhas, pubblicato in Madrugada 61
Nel Corano
Il corpo nella concezione islamica
Racconta la tradizione che Allah plasmò il simulacro di quello che doveva diventare il nostro padre Adamo con le Sue mani. Quando ogni altra creatura è stata creata a partire dall’imperativo «kun!» (sia!), questa particolare attenzione del Creatore rivela immediatamente una straordinaria attenzione per il genere umano, destinato, come il Corano ci insegna, ad essere “khalifa fil ard”, luogotenente sulla terra.
Adamo ancora non è uomo, ma solo forma che si riconoscerà poi come umana; è cavo e la tradizione riferisce che, per dileggio, un dèmone vi si introduce, entrandovi da una parte e uscendo dall’altra.
Quando poi al Fatir, Colui Che dà inizio a tutte le cose, decide di completare questa parte del Suo progetto, allora «soffia in lui del Suo spirito» e man mano che esso pervade la forma, la riempie di carne, sangue, ossa e cartilagini e Adamo diventa uomo. Starnutisce e loda Dio, da Lui ispirato, e subito dopo sente fame e cerca di alzarsi per prendere uno dei frutti del Giardino ma ancora non ha gambe e rovina per terra ricevendo contestualmente il secondo insegnamento «non ti affrettare».
Questo racconto sulla maniera in cui il corpo è stato formato, sul come gli è stata data umanità e sulle prime azioni che lo hanno caratterizzato in tal senso, è particolarmente significativo della maniera in cui l’islam pensa il corpo: natura terrena, forma in un “manufatto” divino, umanizzazione per via spirituale che si estrinseca nell’adorazione del Creatore e, infine permanere del fatto fisico con tutte le sue conseguenze.
Invero la rivelazione coranica è percorsa dal senso di una profonda unità dell’essere umano, non esiste un dualismo anima e corpo. L’uomo vi viene disegnato prima di tutto come colui che è tratto dalla terra, quindi corporeità al pari degli altri esseri creati: «Chiedi loro se la loro natura è più forte di quella degli altri esseri che noi abbiamo creato: in verità li creammo di argilla impastata!» (XXXVII, 11), per vivere in una terra: «O Adamo abita il Giardino tu e la tua sposa…» (II, 35), in relazione con l’altro, di cui l’immagine più pregnante è il rapporto uomo-donna che ancora viene descritto in termini corporei: «esse sono una veste per voi e voi una veste per loro» (II, 187).
L’uomo nella sua interezza è segno di Dio, non solo nella ragione o nell’anima: «Fa parte dei Suoi segni l’avervi creati dalla polvere ed eccovi uomini che si distribuiscono (sulla terra)» (Corano XXX, 20). A Dio dobbiamo tutto il nostro essere: «… quindi gli ha dato forma e ha insufflato in lui del Suo Spirito. Vi ha dato l’udito, gli occhi e i cuori. Quanto poco siete riconoscenti!» (XXXII, 9).
L’essere umano è terra e spirito, tanto che anche le immagini della condizione finale non lo descrivono liberato dal corpo, al contrario proprio una corporeità rinnovata e pienamente soddisfatta nelle sue relazioni fondamentali è espressione della condizione paradisiaca, di cui abbiamo sentore nel nostro immaginario del desiderio e del piacere.
La nostra storia si gioca così, dall’inizio alla fine: «È Lui che vi ha dato la terra come culla… Da essa vi abbiamo creati, in essa vi faremo ritornare e da essa vi trarremo un’altra volta» (XX, 53-55).
Allahumma,
tra le Tue creature ci hai scelto
come ricettacolo dello Spirito
che da Te proviene.
Questa presenza impone al nostro
corpo una regola,
alla nostra mente una disciplina.
Entrambe sono foriere di sublimi soddisfazioni
e aspre rinunce.
Le prime ci rendono possibile questa vita,
l’altre, l’Altra.
[Tratto da Luci prima della Luce, H.R. Piccardo, Ed. Al Hikma, Imperia, 2006]
scritto da Hamza R. Piccardo, pubblicato in Madrugada 61
Nel Nuovo testamento
Il corpo
Affrontare una riflessione, sia pur breve, inerente al corpo a partire dal Nuovo Testamento è un’impresa complessa: sarebbe come voler scalare il ghiacciaio del Monte Rosa senza scarponi e piccozza. Possiamo allora darci l’obiettivo di sorvolare dall’alto, proponendoci una panoramica sugli aspetti più importanti del tema, da pensare in rapporto dinamico tra loro.
È impossibile riflettere sul corpo senza fare riferimento alla cultura in cui se ne parla, la quale orienta e interpreta approcci e significati.
Precisiamo dunque subito che il cristianesimo, fin dai suoi albori, si è inserito nella tradizione culturale greca, assorbendone l’interpretazione dualista platonica che contrappone corpo-anima, di cui ancora ai nostri giorni viviamo tracce più o meno forti.
È il Concilio Vaticano II (1962-1965) che ha introdotto un cambiamento generale di orientamento e, superando le categorie dualiste, ha aperto nuove strade verso una comprensione globale della persona umana. Nell’attuale periodo storico, sempre più spesso definito di cambiamento epocale, affiora sempre più chiaramente la necessità di tornare alle radici della tradizione giudaico-cristiana che è quella in cui si è formato il Nuovo Testamento.
Così, lentamente, stiamo vivendo un processo di riscoperta e di rivalutazione positiva del corpo, e con esso della sessualità che ne è strettamente connessa.
Il percorso culturale, cui abbiamo brevemente accennato, mette in luce il contrasto forte tra i vissuti culturali più concreti in relazione al corpo e l’essenza dell’annuncio cristiano che nel mistero dell’incarnazione e della risurrezione pone la centralità del suo messaggio di salvezza: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) e «Credo nella risurrezione della carne» recita il Credo (451 d.C.) con cui ogni domenica professiamo la nostra fede durante la messa.
«Non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole (...) Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi». In questo modo l’ultimo libro del Nuovo Testamento, quello dell’Apocalisse (cap. 7 e 21), nell’annunciare il mistero della Resurrezione finale ci propone un’immagine concreta e tenera di Dio.
Scorrendo i vangeli incontriamo sovente Gesù che seduto a tavola mangia e beve con amici, o guarisce persone attraverso il corpo: «Chi mi ha toccato?» (Lc 8,45). Gesù prese da parte il sordomuto, «gli mise le dita negli orecchi, sputò e gli tocco la lingua con la saliva» (Mc 7,35) e subito egli guarì. Un bicchiere d’acqua offerto al più piccolo è come offerto a Lui, fino a giungere al gesto della lavanda dei piedi e al «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me» in cui Egli istituisce l’Eucaristia, segno della sua presenza tra noi.
Andando oltre l’approccio dualista di cui abbiamo parlato, per Paolo nelle sue Lettere il corpo diviene simbolo della Chiesa, Corpo di Cristo. «Noi tutti credenti, siamo stati battezzati nello stesso Spirito per formare un solo corpo e come nel corpo ci sono molte membra così siamo anche noi in Cristo Gesù» (1 Cor. 12).
Inoltre nell’invitare a non utilizzare il corpo in modo immorale egli afferma: «O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito? Vi esorto dunque ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm.12,1).
Il corpo, la storia concreta di ogni giorno, è, dunque, per ciascuno di noi, l’opportunità d’incontro con la salvezza che il Vangelo ci annuncia.
Possiamo anche noi fare nostre con fiducia le parole del salmista: «Il mio corpo per te non aveva segreti quando tu mi formavi di nascosto e mi ricamavi nel grembo della terra» (Sal. 139,15); e ancora «Il mio corpo riposa al sicuro: perché mi mostrerai la via che porta alla vita» (Sal. 16,9-11).
scritto da Agnese Mascetti, pubblicato in Madrugada 61