La genitorialità nel passaggio dalla separazione della coppia sino alla formazione di una famiglia ricomposta costituisce un classico delle studio psicosociale essendo un processo evolutivo che procede da una condizione di genitorialità a responsabilità più o meno condivisa ad una genitorialità a responsabilità individuale, spesso di scontro.
È senza dubbio una fase delicata soprattutto poiché la coppia ha ancora ferite aperte provocate dalla separazione, sensi di colpa e sensi di disistima verso l'ex partner. Una condizione che non presuppone bene verso una condizione di iper-responsabilità di genitore che deve operare in autonomia.
Si è già rilevato quanto nelle separazione si debba nascondere l'aspetto coniugale da quello genitoriale e quanto questo processo abbia necessità di tempo evolutivo per raggiungere un equilibrio personale. Non si esploreranno le condizioni nelle quali uno dei partner o entrambi abbiano ancora un forte livore verso l'altro e tendano a far ricadere sui figli questo stato d'animo mettendo in atto comportamenti di esclusività o di rifiuto alla genitorialità. Queste condizioni sono estreme e indicatrici di una patologia psicosociale e/o psichiatrica di uno o di entrambi i partner.
Si vuole invece qui esplorare la condizione maggioritaria degli ex partner di voler continuare a svolgere i propri compiti genitoriali al meglio delle loro forze nella loro condizione di single o di componenti di una famiglia ricomposta. Il problema di questi genitori è legato a due condizioni, spesso non bene esplorate prima della separazione: lo stato di partenza fortemente condizionato dal senso e dalla interpretazione della genitorialità nel contesto in cui vivono e lo stato di arrivo come genitori single a tempo suddiviso o come “genitori sociali” o “terzi genitori” nella famiglia ricomposta.
Per chiarire questi passaggi di ruolo genitoriale dobbiamo partire da una analisi di come viene interpretata la genitorialità nel contesto sociale contemporaneo. Ome è noto la società contemporanea attribuisce una grande importanza all'equilibrio nella vita psichica e alle emozioni dei singoli individui ovvero viviamo un periodo sociale a forte soggettivazione e personalizzazione divenute non soltanto una norma, ma anche un essenziale valore sociale a quale non siamo in condizione di rinunciare pena una personale svalutazione della autostima, prodroma di stato depressivo.
I divieti e i vincoli sociali che avevano caratterizzato la famiglia tradizionale del passato sono stati sostituiti da competenze sociali e comunicative, da adattabilità e flessibilità, e basate sull'autostima, sulla consapevolezza delle proprie capacità, fino al senso di potere su di sé e sugli altri.
La separazione coniugale sempre comporta una revisione della propria autostima condizionata da un senso di liberazione pieno di sensi di colpa e di ansia per il proprio futuro da single. Una sofferenza psichica inevitabile che si caratterizza spesso con momenti di impotenza e insufficienza, per timori di non essere all'altezza della libertà ritrovata in un contesto sociale in cui l'individuo è valutato per le sue capacità di adattamento sociale, di autonomia, di affermazione di sé e di prestigio o carisma personale. Tutti fattori soggettivi più che oggettivi, tutti fattori che prima poggiavano su una immagine condivisa e che ora poggiano sulla individualità.
L'esigenza di rendersi autonomi implica responsabilità sul sé e presuppone che i conflitti non risolti dipendano dalla propria incapacità di risolverli, mettendo in tensione le implicazioni narcisistico-identitarie dei ex partner. Nella separazione coniugale sono conseguenze inevitabili, sono il travaglio per il passaggio dalla condizione di responsabilità condivisa alla condizione di responsabilità individuale. Si passa una condizione di disagio psichico che prende forma di sentimenti di insufficienza tendenti al versante depressivo. Di qui alle domande:
- Come ricostruire l'autostima di fronte alla sconfitta della separazione?
- Come sentirsi riconosciuti nel proprio contesto sociale e familiare?
- Come far fronte al precariato sociale, allo sradicamento, alla mancanza di sostegni che la separazione coniugale determina?
Emergono così opposizioni tra vita pubblica e vita privata, in cui quella privata, coniugale e genitoriale, diventa un rifugio indispensabile e la genitorialità primordiale luogo di realizzazione personale. La genitorialità comporta, tuttavia, alcune responsabilità specifiche, quali sentirsi capaci di essere buoni genitori e saper fronteggiare le trasformazioni inerenti ai diversi stadi di sviluppo del bambino da soli. Diventare genitori da soli è un lavoro nuovo, che si dovrà a sua volta confrontare con i vincoli idealistici vigenti nel contesto sociale in cui si vive. Questo significa che non solo si vuole essere capaci di fare i genitori per il bene dei figli, ma anche perché si vuole essere riconosciuti bravi genitori nel contesto sociale in cui si vive. Di qui alle domande:
- Come si fa a essere buoni genitori?
- Come si fa a essere considerati buoni genitori?
- Come si affronta il giudizio dei propri figli?
- Come si può evitare il fallimento genitoriale?
Gli studi sulla genitorialità, specie quelli sulla genitorialità delle coppie separate, sono relativamente recenti. Lo stesso termine genitorialità è stato introdotto, per la prima volta in Francia, da Paul Claude Racamier, nel 1961. A quel tempo la genitorialità riguardava soprattutto la maternità e poco considerava la paternità.
Da allora molta strada è stata fatta e l'interesse crescente per la genitorialità si è ampliata. Lo studio delle relazioni genitore/figlio si sono affinate arricchendosi delle conoscenze sullo sviluppo del bambino e delle conoscenze sull'epigenetica che ha riaperto il dibattito tra l'innato e l'acquisito nella formazione dell'individualità dei figli.
La possibilità che psicologia e neuroscienze possano decifrare i misteri psico-affettivi vissuti dai figli di genitori separati, nella complessità degli eventi di vita che si trasmettono da una generazione all'altra, offrono ai genitori un significato più chiaro dell'esperienza che vivono con la propria prole sia che essi siano coniugalmente uniti, sia che essi siano separati. Comunque il loro compito rimane il medesimo, dal quale non possono sfuggire: assicurare alla prole una “genitorialità sufficientemente buona” lungo tutto il corso di sviluppo del bambino sino all'età adulta (e spesso anche dopo perché non si smette mai di essere genitori essendo un ruolo a tempo indeterminato).
scritto da Alessandro Bruni