Riceviamo e pubblichiamo due comunicati dell'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale in tema – rispettivamente – di pena carceraria e di recenti politiche criminali.
In tema di pena carceraria
L’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale esprime preoccupazione per alcune opzioni di politica sanzionatoria penale profilate nel “Contratto del Governo del cambiamento” e ora in corso di progressiva attuazione, rilevando l’opportunità che le legittime scelte politiche della maggioranza parlamentare tengano conto del quadro costituzionale e delle indicazioni provenienti dalle consolidate acquisizioni delle scienze penalistiche.
In particolare, si auspica che il tema della sicurezza dei cittadini non sia affrontato esclusivamente, né prevalentemente, sul terreno della pena carceraria: le rilevazioni criminologiche mostrano infatti che il carcere, più di ogni altra tipologia sanzionatoria, genera recidiva, e mette quindi a repentaglio la sicurezza dei cittadini. Di qui l’esigenza di fare ricorso alla pena carceraria solo in quanto appaia assolutamente necessaria, per mancanza di altri strumenti sanzionatori in grado di rispondere altrettanto efficacemente a un determinato fenomeno criminale.
Inoltre, nei limiti in cui il carcere appaia strumento indispensabile di tutela della collettività, si richiama l’attenzione sull’opportunità che in carcere siano previsti alcuni spazi per scelte responsabili del detenuto, così da creare condizioni di vita reclusa progressivamente sempre più prossime, nei limite del possibile, a quelle alle quali il condannato farà ritorno, una volta espiata la pena: di questa esigenza si dovrebbe tener conto, allorché si procedesse, come prospettato nel Contratto di Governo, a rivedere e modificare il protocollo della sorveglianza dinamica e del regime penitenziario aperto.
Un fondamentale apporto alla reintegrazione sociale del condannato a pena carceraria, secondo quanto previsto dall’art. 27 co. 3 Cost., può venire inoltre da un equilibrato dosaggio tra flessibilità della pena in fase esecutiva e certezza dei criteri di adeguamento ai progressi compiuti dal condannato in un percorso di graduale ritorno alla società libera. Va sottolineato che i tassi di recidiva di chi ha scontato la pena, in tutto o in parte, nella forma di una misura alternativa al carcere sono di gran lunga inferiori a quelli che si registrano tra coloro che hanno scontato la pena per intero tra le mura carcerarie.
Chi abbia a cuore la sicurezza dei cittadini e una vita sociale ordinata dovrebbe dunque guardarsi, a nostro avviso, dalla tentazione di demonizzare le misure alternative e in genere le pene non carcerarie: a dispetto di pregiudizi diffusi nell’opinione pubblica, meno carcere può significare più sicurezza per i cittadini. (per approfondire clicca qui)
Sulle recenti politiche criminali
L’Associazione italiana dei Professori di Diritto penale, all’esito del convegno del 9-10 novembre 2018, dedicato a un programma di lavoro sulla riforma del diritto penale, esprime una forte preoccupazione per la gestione della “questione penale” nel suo complesso, nella attuale situazione politica.
La cultura giuridica è ben consapevole dei problemi, di vitale importanza, posti da forme di criminalità particolarmente gravi del nostro tempo (terrorismo internazionale, mafie, corruzione e frodi, violenza diffusa, e in genere le molteplici forme della criminalità nel mondo d’oggi). Il fine fondamentale del diritto criminale/penale, espressione del monopolio statuale della forza, è l’osservanza dei precetti legali: precetti importanti per la civile convivenza, radicati nella nostra tradizione o in sviluppi condivisi della modernità. Nelle democrazie liberali, il diritto e il processo penale sono anche garanzia di libertà, limite, in quanto diritto, alla forza del potere punitivo.
Filo conduttore delle attuali politiche del diritto penale è l’esibizione di severità sempre maggiore (soprattutto, ma non solo, come aumenti di pene edittali). È una tendenza presente anche nel passato, intrecciata con linee diverse, di cauta deflazione penalistica. In questo avvio di legislatura è il segno dominante, tipico del populismo penale (non solo in Italia): le leggi penali (e già le proposte di legge) usate come messaggi volti a coagulare consensi, a soddisfare un “sentimento di giustizia” repressiva e vendicativa, e paure non sempre fondate su dati di realtà; spesso alimentate anche da una propaganda mirata. ‘Governo della paura’, è stato definito questo tipo di approccio: un uso propagandistico (supportato dai mass media) del diritto punitivo, che minaccia di punire o di punire sempre di più, come se la minaccia di maggior pena di per sé significasse un rafforzamento della tutela. La torsione comunicativa appare particolarmente evidente nella ricezione del linguaggio della pubblicità commerciale: legge spazzacorrotti, come se la legge fosse un utensile di pulizia domestica, da piazzare sul mercato.
Pura propaganda è il portare al centro della discussione questioni prive di qualsiasi rapporto con problemi di oggi, come la proposta di bloccare definitivamente il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (o magari anche prima). Gli effetti del blocco si verificherebbero in un futuro lontano, alla scadenza dei termini di prescrizione di reati commessi dopo l’approvazione della riforma, perché la prescrizione è un istituto di diritto penale sostanziale, per il quale vale il principio di legalità/irretroattività ex art. 25 Cost. (vedi la giurisprudenza della Corte costituzionale, da ultimo sul caso Taricco). Nel frattempo, potranno essere verificati gli effetti della riforma Orlando, in vigore già da più d’un anno, che ha introdotto la sospensione della prescrizione per tempi definiti nelle fasi dei giudizi d’impugnazione.
Oggi più che semplicemente discutere le concezioni del diritto e della giustizia penale, ci troviamo qui a vederne attuate alcune che rischiano di avere un impatto distorsivo, se non devastante sul sistema. La prescrizione quale causa estintiva si giustifica per l’affievolirsi, nel corso del tempo, delle ragioni che sostengono la risposta punitiva, per l’irragionevole durata del tempo intercorso tra il commesso reato e il momento della decisione. Se si blocca la prescrizione dopo la condanna in primo grado, a quel punto qualsiasi reato, grave o lieve, in via di principio prescrittibile diverrebbe parimenti imprescrittibile. (per approfondire clicca qui)
scritto dall'associazione dei professori di diritto penale il 23 novembre 2018
segnalato da Donatella Ianelli