I 5 Stelle hanno avuto il merito di imporre la lotta alla povertà nell'agenda politica. Ora però paradossalmente l'opinione pubblica è tornata a vedere i poveri come i nullafacenti che stanno sul divano, che preferiscono l'assistenzialismo al lavoro oppure lavorare in nero. Che cortocircuito c'è stato nella comunicazione?
Ecco tutti i rischi di legare troppo il Reddito di Cittadinanza al lavoro.
Un merito che il MoVimento 5 Stelle ha avuto è sicuramente quello di aver portato con forza il tema povertà nell’agenda politica, fin dalla scorsa legislatura. Paradossalmente però il molto parlare di povertà che è stato fatto, soprattutto in campagna elettorale e poi in questi mesi di Governo, facendo del Reddito di Cittadinanza e della lotta alla povertà il vessillo simbolico del MoVimento, ha portato a un esito opposto: la delegittimazione, fra l’opinione pubblica, della lotta alla povertà.
È un rischio che anche noi, banalmente, avevamo intuito: il 10 ottobre scorso, inviando alla senatrice Nunzia Catalfo - che sta lavorando al disegno del reddito di cittadinanza in quello che avrebbe dovuto essere un collegato alla Legge di Bilancio - le domande per un’intervista a cui finora non è riuscita a rispondere, avevamo chiesto «se non vedesse il rischio, commenti sui social e in tv alla mano, che una misura oggettivamente necessaria e urgente come quella contro la povertà assoluta rischiasse invece nella percezione collettiva di essere vista come una “mancetta” ai “nullafacenti” che stanno “sdraiati sul divano” o ai “furbetti del lavoro in nero” (queste, lo sappiamo, sono le obiezioni che circolano).
Questa percezione da parte dell’opinione pubblica non rischia di vanificare tutto il lavoro anche di sensibilizzazione e cultura che è stato fatto? Non aiuterebbe in questo senso differenziare meglio la misura tra povertà assoluta e altre situazioni di disagio e tra povertà e difficoltà occupazionale?».
Il tema ora emerge con forza nelle più recenti considerazioni dell’Alleanza contro la Povertà, che proprio nei giorni scorsi ha rivolto un nuovo appello al Governo per un incontro/confronto. Sono proprio loro a parlare del rischio di delegittimazione della lotta alla povertà, derivante dal nesso sempre più marcato fra RdC e lavoro. «Sul piano comunicativo viene sempre più accentuata la finalità occupazionale del Reddito di Cittadinanza, con il rischio di diffondere tre messaggi sbagliati»: scrivono le 35 organizzazioni che compongono l'Alleanza contro la Povertà.
- Il primo è «assegnare al RdC obiettivi che non gli competono. Gli si attribuiscono, infatti, eccessive responsabilità nel fronteggiare i problemi occupazionali italiani, che richiedono invece differenti interventi».
- Secondo, sminuire il valore dei diritti sociali: «insistere sull’inserimento lavorativo veicola il messaggio che le politiche contro la povertà non possono essere promosse con il loro vero obiettivo: garantire diritti sociali alle fasce più deboli della popolazione».
- Terzo, spianare la strada ad attacchi futuri: «Se l’obiettivo principale del RdC viene presentato essere la creazione di lavoro, domani, quando questo obiettivo non sarà raggiunto se non per una quota circoscritta di utenti, si potrà facilmente affermare che la misura ha fallito».
E perché mai il Reddito di Cittadinanza dovrebbe fallire l’obiettivo? Non perché ci sia alcun gufo, ma più semplicemente perché - come ricorda l’Alleanza contro la Povertà - anche nei Paesi europei che mediamente hanno una minore disoccupazione della nostra e al contempo Centri per l’Impiego più strutturati dei nostri, le politiche contro la povertà riescono a condurre direttamente ad un lavoro stabile il 25% dei beneficiari. Significa che il 75% dei poveri ha altre necessità, non immediatamente risolvibili con una proposta di lavoro.
stralcio dell'articolo scritto da Sara De Carli, pubblicato in Vita del 12 dicembre 2018
per leggere l'intero articolo clicca qui
segnalato da Alessandro Bruni