Prima ho pensato: no, anche Baglioni no. Poi ho pensato: e perché Baglioni no? Prima ho pensato: se pure durante la conferenza stampa della cazzoneria istituzionalizzata ci mettiamo a parlare di immigrazione siamo finiti. Poi ho pensato: ma l’intero dibattito sull’immigrazione è un festival della cazzoneria istituzionalizzata, siamo già finiti. Ho pensato: se Toninelli parla di ingegneria e Di Maio di diritto costituzionale, Baglioni potrebbe parlare di introduzione alla genetica molecolare, e quando ho sentito Salvini dirgli sei un cantante, canta e piantala lì, ho pensato proprio a Baglioni che canta da una vita, e mentre adesso si prende del comunista perché ritiene inadeguate le politiche di questo governo, inadeguate come quelle dei governi precedenti, ho pensato a quando si prendeva del democristiano, perché negli Anni Settanta non schitarrava la dittatura del proletariato e preferiva concentrarsi sulla «sua maglietta fina tanto stretta al punto che m’immaginavo tutto».
Mai piaciuta la musica di Baglioni: ero per Lucio Battisti, un altro accusato di trascurare il rapporto fra capitale e sfruttamento della masse. Finché Baglioni non compose Le ragazze dell’Est: «Io le ho viste che cantavano nei giorni brevi di un’idea / e gomiti e amicizie intrecciati per una strada / e le ho viste stringere le lacrime di una primavera che non venne mai...». Era il 1981, e della primavera che nei paesi dell’Est non era venuta mai al Pci non importava nulla, e mancavano molti anni al giorno in cui Salvini si sarebbe dichiarato un comunista padano, e ho pensato: Salvini, cantatela una canzoncina, e piantala lì.
scritto da Mattia Feltri, pubblicato in La Stampa del 10 Gennaio 2019
segnalato da Alessandro Bruni