Ci sono due donne. Una abita in Arabia Saudita, l’altra in Italia.
La prima sente la sua vita migliorata, se pur di poco. Può finalmente guidare una macchina, andare alla stadio, ma solo se accompagnata, addirittura, nel caso in cui il marito voglia divorziare, sarà avvertita con un sms (prima non vi era alcun obbligo di comunicazione).
La seconda, invece, guida già da un pezzo, va dove le pare e nei divorzi è tutelata da leggi che sovente sembrano preferirla al marito. Eppure oggi si sente minacciata da una sentenza della Corte di Cassazione: non è reato, né illecito fotografare la vicina, o il vicino, di casa che si fan la doccia o escono dalla stessa, se non sono state apposte tende, vetri oscuranti o altra barriera visiva in grado di separare l’obiettivo del guardone dal corpo ignudo. Nessuna violazione della privacy.
E mentre Edwige Fenech esulta, («Perché sempre e solo a me?»), la buon’anima di Janet Leigh non si scompone: per fortuna, nella vasca del Bates Motel, c’era la tendina, altrimenti un giudice avrebbe potuto eccepire che Antony Perkins e il suo coltellaccio erano stati in qualche modo provocati.
Battute a parte, occorre tenere alta la guardia: non smettere mai di denunciare le condizioni inaccettabili delle donne in particolare nel mondo mussulmano, (di questi giorni la storia di una 18enne saudita fermata all’aeroporto di Bangkok: «Nel mio Paese non sono libera neppure di tagliarmi i capelli: se mi rimpatriate, mi uccideranno»); dall’altra, monitorare sui cedimenti culturali e giuridici che possano portare indietro le lancette dell’Occidente sulla libertà femminile.
Come nelle zone a rischio terremoto: per far scattare l’allarme massimo, deve bastare un leggero tremolio. Anche di una tenda.
scritto da Giancarlo Marinelli, pubblicato in Il giornale di Vicenza del 12 gennaio 2019
segnalato da Alessandro Bruni