La storia inizia nel 2012 quando Michelangelo Manini, figlio unico del fondatore della Faac, Giuseppe, muore ad appena 50 anni. Single e senza eredi, regala il 66% dell’azienda di famiglia all’Arcidiocesi di Bologna, insieme alle proprietà immobiliari e 140 milioni di liquidità in banca. Nel maggio 2015 la Faac diventa al 100% di proprietà dell’Arcidiocesi.
A fine 2015 a Bologna arriva il cardinal Matteo Zuppi, che conferma gli amministratori e dà rigide linee guida: prima di tutto attenzione al welfare dei dipendenti. Ogni lavoratore del gruppo Faac gode di una polizza sanitaria aggiuntiva, mentre i figli dei dipendenti assunti in Italia possono usufruire di tre settimane di campo estivo gratuito. Secondo: gli utili devono restare in azienda per fare sviluppo, cioè acquisizioni per consolidare il business.
Nel 2017 l’azienda chiude con un fatturato consolidato di 427 milioni di euro, i dipendenti salgono a 2.500, e 43 milioni di utile netto. Controlla 42 società in giro per il mondo, tutte contigue al core dell’azienda: dall’Australia alla Cina, dalla Malesia al Sudafrica, dalla Germania agli Stati Uniti. Merito anche delle risorse investite in ricerca e sviluppo, che rappresentano il 4-5% del fatturato, circa il doppio della media del settore, e che hanno portato alla registrazione di 43 brevetti innovativi.
Oggi l’azienda è una delle più redditizie dell’Emilia Romagna (oltre ad essere la prima grande realtà industriale gestita da una Arcidiocesi in 2000 anni di storia della Chiesa). Con l’arrivo del Cardinal Matteo Zuppi prende forma un progetto più strutturato, e i fondi vengono completamente destinati al territorio, tramite la Caritas.
Un milione e mezzo finisce nel pagamento di affitti, utenze e sanità alle famiglie bisognose. Un milione di euro è destinato al mondo della scuola: sostegno ai ragazzi disabili (dal logopedista, all’acquisto di presidi, a corsi di nuoto); si finanziano enti che organizzano doposcuola e progetti contro la dispersione scolastica. In tre anni «l’aiuto» ha raggiunto quasi 15 mila studenti dai 6 ai 19 anni, e 156 doposcuola. Un altro milione è utilizzato per «progetti lavoro» definiti con il Comune: si finanziano borse di studio, nascite di start up, progetti sociali. In tre anni sono state aiutate 1.500 persone e finanziati 15 enti.
Il resto degli utili è destinato da una commissione ad hoc a interventi meritevoli. Si va dalla sala da tè gestita da disabili al terremoto nelle Marche, da un progetto di import export dall’Italia verso il Senegal, dalla radio locale di Budrio per adolescenti al dormitorio per i senza fissa dimora alla Bolognina. Le richieste provengono dai parroci, che devono rendicontare ogni singolo euro alla Curia, che a sua volta verifica e poi eroga. In conclusione: l’azienda non ha un debito, cresce, fa profitti, è attenta al benessere dei dipendenti, e un po’ di utili li lascia sul territorio, ai meno fortunati. Modello Faac per tutta la vita!
scritto da Domenico Affinito e Milena Gabanelli pubblicato nel Corriere della sera del 7 gennaio 2019
sintesi di Alessandro Bruni