“La malattia di Alzheimer colpisce tutti in maniera indiscriminata. Non è la malattia dei ricchi né dei poveri. Non basta studiare o avere la laurea per essere esenti. Non significa nulla essere donna o uomo. Puoi abitare in America o in Asia, in Nord Europa o in Italia. Nulla importa alla malattia, essa colpisce dovunque, chiunque, senza sosta, senza pietà.” (Florenzano F., La vita quotidiana con il demente, Roma, Edup. 2009, p.11)
Il termine “demenza” descrive una serie di sintomi cognitivi, comportamentali e psicologici che possono includere perdita di memoria, difficoltà di ragionamento e di comunicazione e cambiamenti della personalità che compromettono la capacità di svolgere le attività quotidiane. Le demenze, e in particolare l'Alzheimer, sono in forte aumento in tutto il mondo occidentale. Un fatto che è in gran parte imputabile ad un aumento del numero di diagnosi nell'età senile, ma purtroppo non solo, essendo in crescita anche le diagnosi tra i 50-60 anni.
In Italia i cambiamenti demografici, dovuti all'allungamento della vita media e alla diminuzione di giovani, non possono che comportare implicazioni economiche e sociosanitarie che incidono fortemente sul welfare pubblico e su quello delle famiglie che sono chiamate sempre più spesso a far fronte alle esigenze sia economiche che assistenziali della persona malata. Inoltre, nonostante il miglioramento di diagnosi e di cura, si stima che circa 1 caso su 3 non venga riconosciuto correttamente e circa la metà delle persone affette da demenza non riceva un adeguato supporto dopo la diagnosi.
Chi si prenderà cura di questi malati e dei loro caregiver?
I caregiver, ovvero le persone che si prendono principalmente cura del malato, sono figure centrali nella gestione della demenza. Infatti nella maggior parte dei casi, i malati (circa l’80% sul totale) rimangono presso il proprio domicilio o quello del caregiver (di solito si tratta di un familiare stretto). Sempre più spesso sono i figli a prendersi cura della persona demente, in quantità minore invece sono i coniugi sani i quali anch'essi hanno manifesti limiti di età. In queste situazioni sono fondamentali gli aiuti portati da associazioni di volontariato per il sostegno dei caregiver familiari e per l'apporto di competenze pratiche per gestire l'ammalato. Sempre più importanti divengono le reti sociali di volontariato che sostengono il malato ma anche il caregiver soggetto a un carico psicofisico di grande rilevanza personale. Solo nella fase terminale della malattia, quando le forze del caregiver vengono meno, ci si affida a servizi di assistenza.
L'aspetto sociale fondamentale da considerare è che durante il decorso della malattia non solo è necessario prendersi cura del malato, ma anche del caregiver che si trova ad affrontare situazioni personali di stress, isolamento, depressione tali da definirli, come i “malati nascosti delle demenze”. Il caregiver non solo deve avere competenze specifiche per affrontare la demenza, ma deve avere risorse personali per non cadere a sua volta in malattie di tipo depressivo. Sono questi aspetti da non sottovalutare dato che la famiglia e i caregiver devono affrontare un vasto e complesso dominio di problemi di tipo organizzativo, emozionale, economico, assistenziale; problemi che possono comportare l'esclusione dalla vita sociale non solo della persona demente, ma anche dei caregiver che di occupano di lui. Bisogna ricordare che la demenza è una malattia che riguarda non solo la persona malata ma anche famiglia, servizi, istituzioni ed associazioni: un microcosmo non piccolo che deve mirare ad uno scopo comune.
L’utilizzo dei caregiver formali (ovvero quelli propri dell'assistenza socio-sanitaria del welfare pubblico e privato), che si affiancano a quelli informali (ovvero quelli delle associazioni di volontariato), ha lo scopo di sostenere i famigliari per condividere, per quanto possibile, il peso che questa malattia comporta. E' necessario un impegno sociale dedicato sempre più oneroso in termini sociali ed economici da parte del welfare pubblico, ma anche delle famiglie che non possono essere lasciate sole. E' necessario che un sistema di associazioni sociali occupi questo importante spazio di assistenza portando competenza e sostegno a malati e famiglie perché i servizi sociali presenti nel territorio non sempre sono sufficienti a rispondere alle esigenze di una popolazione anziana, affetta da diverse forme di demenza in costante evoluzione.
Siamo in presenza di una "bomba sociale" ad effetto prolungato dall'elevato costo sia economico e sia di risorse personali che non è pensabile siano risolvibili con interventi palliativi non specializzati, ma con interventi appropriati coordinanti tra pubblico e privato modulati su su lunghi periodi. Crudamente si fa notare che il decorso delle demenze è assai lungo e non vi è speranza attualmente di un recupero alla vita civile del malato. La situazione non è confrontabile con quella dei malati oncologici il cui decorso è molto più breve evolvendosi o verso una restituzione alla vita civile o verso la morte. Sul piano del welfare sociale siamo in un modello strutturale che ha più affinità con quello dei minori (strutture di long term care) che devono essere seguiti da strutture sociali pubbliche e da genitori che si occupano di loro sino alla loro autonomia.
La nostra società ha necessità di farsi carico consapevole di una realtà devastante sul piano della persona e della società stessa: ogni persona demente ha bisogno di almeno tre persone che si dedichino a lui. Questo significa che passando dal piano personale a quello sociale si devono percorrere strade in salita a partire dalla capacità personale di accogliere il malato, al suo accudimento degenerativo, all'organizzazione della sua giornata e della sua notte, al coordinamento sociosanitario, al riequilibrio del caregiver, al costo sociale di persone escluse dal settore produttivo economico, ma di costo vivo, alla presa in carico del problema da parte dell'intera società civile e della politica assistenziale. Il problema demenza va affrontato con concreta realtà ponendosi quesiti che, attualmente, sono più di sfera sociale che terapeutica:
-
Qual è l’efficacia e la costo-efficacia del trattamento dei casi ad alta intensità rispetto all’assistenza standard sulla qualità della vita (per il paziente affetto da demenza e per i suoi caregiver) e sui tempi d’ingresso in strutture di long term care?
-
Qual è la costo-efficacia della definizione di standard di competenza per operatori sociali, familiari e caregiver nella gestione della demenza (es. gestione dell’ansia, comunicazione, stato nutrizionale e assistenza personale)?
-
Nei pazienti affetti da demenza la riduzione attiva del carico anticolinergico migliora gli esiti cognitivi rispetto al trattamento standard?
-
Quali sono gli interventi non farmacologici più efficaci e costo-efficaci per facilitare il recupero a lungo termine dei pazienti affetti da delirium sovrapposto a demenza?
-
Quali sono i metodi più efficaci per la pianificazione dell’assistenza per le persone che non hanno qualcuno che si prende regolarmente cura di loro contatti regolari (assistenza informale: familiari, amici, vicini di casa, etc.)?
I quesiti sopra esposti hanno in massima parte una prerogativa costante: partono dalla capacita di accoglienza della famiglia del malato. In termini di accoglienza (e non si intende solo quella fisica di convivenza, ma quella relazionale di mantenimento del legame affettivo) questo è un problema esistenziale enormemente più complesso e difficile rispetto a quello tanto dibattuto dell'immigrazione. Devi accettare di avere nella tua casa una persona che via via diviene sempre più straniera, che non riconosci più, che ti consuma tra la pietà e l'impotenza.
Parlare di demenza tra individui sani è cosa difficile: i più hanno atteggiamenti scaramantici di negazione, di nascondimento e non di pietosa accoglienza (finché si può al limite delle proprie capacità e responsabilità). Socialmente ciò che distrugge il riconoscimento morale ed etico della demenza è il nascondimento dei sani, il fuggire la responsabilità, il chiudersi nella speranza egoistica che non capiti alla tua famiglia, al non farsi carico di una realtà che si vorrebbe chiusa in un lontano lazzaretto, dove si praticasse una sorta di eutanasia sociale che non ci facesse pensare, che ci illudesse di essere immuni.
- Per un approfondimento specifico di prossimità sociale consiglio un film tra questi sei da guardare con la consapevolezza che potrebbe accadere anche nella nostra famiglia.
- Per un approfondimento specifico di materia medico-sociale consiglio il seguente recente articolo in pdf scaricabile.
scritto da Alessandro Bruni