Riprendo stralci di un articolo di Giacomo Buoncompagni del 4 gennaio 2018, pubblicato in Social News perché ancora di forte attualità e fonte di riflessioni e di autocritica. Alessandro Bruni
Il nostro comportamento all’interno dei social media mostra a noi tutti che, come le scienze comportamentali dimostrano nelle più recenti ricerche, siamo più mossi dalle emozioni che dalla ragione, che preferiamo mantenere intatti nostri pregiudizi anche se ciò a cui crediamo si dimostra poi totalmente errato, che siamo sempre meno disponibili al confronto e abili haters davanti ad uno schermo.
In poche parole: ascoltiamo e comunichiamo non per capire, ma solamente per rispondere e si entra in contatto con l’Altro in quanto “diverso”. Alcuni sociologi, analizzando la dimensione comunitaria nel nuovo scenario digitale, riconoscono la nascita di nuove forme di legami che definiscono “neotribali”. Le modalità per sentirsi vicino ad una persona ruotano esclusivamente attorno ad uno stato emozionale comune: la simpatia. Tali formazioni chiuse, autoreferenziali, non hanno progetti comuni, non diffondono conoscenza, non sono classificabili come “intelligenze collettive e connettive”, ciò che le muove è il semplice desiderio di sentirsi parte di un gruppo dove tutti la pensano allo stesso modo; dunque non c’è confronto, ognuno vive tranquillo con le proprie verità nella propria “bolla”.
L’utilizzo inconsapevole dei social in questo senso, rischia di essere utilizzato per costruire strategie difensive per deviare dall’eticità, per sfuggire al processo di negoziazione e condivisione necessario (per sua definizione) in un processo comunicativo-relazionale.
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Hate speech: esempio di comunicazione violenta
Paul Ricoeur, filosofo della comunicazione, affermava come fosse necessario individuare sempre una “situazione limite” in ogni cosa e cioè capire quando l’utilizzo dei social, in questo caso, nutre o danneggia una società. Ogni giorno ci imbattiamo anche per sbaglio in espressioni verbali violente in Rete (hate speech). L’odio verbale online rappresenta una realtà che non si limita solamente alla dimensione virtuale, ma ha effetti concreti anche nella vita offline. I social network rischiano sempre più di trasformarsi in ambienti tossici, in campi di battaglia, “far west virtuali” dove domina il conflitto, dimenticando cosi l’esistenza di un’etica, di regole conversazionali, nei processi comunicativi online ed offline. L’odio sul web nasce dalla realtà e lì poi ritorna.
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Comunicare (con) l’Altro
Tutto ciò è ancora più evidente se consideriamo il rapporto immigrazione-informazione e nuove pratiche mediali. I processi migratori, se da sempre costituiscono un fattore di grande importanza sulle strutture e sulle dinamiche complessive dell’organizzazione sociale, da più di trent’anni hanno visto crescere la loro rilevanza e il loro impatto per essere al centro dei processi di globalizzazione che investono anche il nostro Paese e del dibattito sociale, politico ed economico. Nonostante ciò, risentono ancora di produzioni discorsive e visive distorte, più orientate a costruire confini nell’immaginario sociale e a legittimare la distinzione tra “loro” e “noi”, che non a fornire indicazioni utili per sviluppare politiche di integrazione e cittadinanza.
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Narrazione e sensibilità interculturale
Uno strumento che potrebbe essere utile ad evitare che l’incontro assuma dinamiche di scontro e di conflitto è rappresentato dalle competenze interculturali e digitali. Nella definizione proposta dall’UNESCO, la competenza interculturale è “un nuovo tipo di alfabetizzazione, parimenti importante alle abilità nella scrittura, nella lettura o matematiche: l’alfabetizzazione culturale è l’ancora di salvataggio nel mondo di oggi, una risorsa fondamentale per gestire in modo adeguato i molteplici luoghi attraverso cui l’educazione si trasmette (dalla famiglia e dalla tradizione fino ai media, sia vecchi sia nuovi, e dalle attività e i gruppi informali) e uno strumento indispensabile per superare lo scontro tra ignoranze”.
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Etica dell’informazione e della comunicazione
Può aiutarci a trovare il giusto equilibrio, non esaustivo certamente, ma utile in questa sede, il concetto di etica, disciplina che si occupa di considerare e valutare l’insieme degli atti che costituiscono la condotta (l’agire) dell’individuo. L’etica sta in mezzo, fra emozioni e media, a significare che qualunque discorso sul rapporto fra mezzi, uomo e vissuti emotivi, assume una profondità e un significato differenti, a seconda che venga inquadrato sotto un profilo di natura strumentale oppure attraverso la lente di un approccio etico-umanistico.
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scritto da Giacomo Buoncompagni, pubblicato in Social News del 4 gennaio 2018
segnalato da Alessandro Bruni