Già vent’anni fa, Kofi Annan aveva definito le mine antiuomo come l’arma più «abominevole e barbara mai concepita» ma ancora oggi questi ordigni, seppur messi al bando dal diritto internazionale (Convenzione di Ottawa del 1997) continuano a mietere migliaia di vittime e, quando non uccidono, mutilano e causano invalidità permanenti. Lo fanno in modo subdolo perché restano ad infestare il suolo quando, ormai in tempo di pace, le persone che lì vivono sono ignare del pericolo. Ancora nel 2017-2018, venti persone ogni giorno sono morte o rimaste invalide perché vittime di una mina o ordigni affini.
Il Rapporto dell’Osservatorio sulle mine, reso noto dalle Nazioni Unite, riporta che nel 2017-2018 le vittime delle mine e di ordigni affini sono state più di 7.200, in 49 paesi, inclusi quelli in cui i conflitti sono terminati ma dove restano vaste aree minate (come in Angola, Mozambico, Birmania, Colombia, Azerbaigian o il confine tra Etiopia ed Eritrea) ma la maggioranza si registrano in Siria ed Afghanistan, paese quest’ultimo dove 45.000 persone hanno perso almeno un arto.
È sconcertate leggere questi rapporti e scoprire, da un’indagine realizzata in Afghanistan (fonte Croce Rossa Internazionale) che le vittime delle mine vengono colpite solo per il 13% durante azioni militari. La maggior parte degli incidenti avvengono nelle azioni di vita quotidiana: ad esempio, 2 persone su 10 tra le vittime, sono rimaste uccise o ferite da una mina durante il lavoro nei campi, il 15% durante i viaggi e l’8% durante il gioco. Questi ordigni quindi colpiscono, anche ad anni di distanza dai conflitti, persone innocenti, contadini che tornano a lavorare i campi ma soprattutto i bambini.
UNRIC (Centro Regionale delle Informazioni delle Nazioni Unite) spiega che i bambini vengono irrimediabilmente attratti dalle mine dato che assomigliano a dei giochi perché sono spesso colorate e luccicanti. Accade sovente che il bambino richiami altri bambini e insieme si mettono a maneggiare la mina, quindi purtroppo quando esplode si hanno più vittime. I bambini ed in particolare quelli rifugiati e sfollati sono quelli più in pericolo perché giocano in zone pericolose. Le mine antiuomo rovinano la vita di questi bambini che resteranno mutilati. Le lesioni provocate dalle mine infatti, includono la perdita degli arti, della vista o dell’udito con la conseguente inabilità permanente.
L’Osservatorio sulle mine sottolinea come accanto alle mine industriali siano sempre più diffusi gli ordigni di fabbricazione artigianale, utilizzati da gruppi armati non governativi. Nel 2017-2018, il rapporto ha documentato che sicuramente gruppi armati hanno fatto ricorso a questi ordigni in Afghanistan, Colombia, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Tailandia e Yemen, mentre sottolinea di non essere in grado di confermare l’utilizzo di mine antiuomo da parte delle forze governative siriane, data la difficoltà di accedere a fonti indipendenti. Tra le 7.200 vittime registrate dal Rapporto 2018 dell’Osservatorio, quasi 2.800 sono morte e nella maggior parte dei casi gli incidenti hanno riguardato civili (87%) di cui quasi la metà sono bambini.
Nel 1997, a seguito della Campagna Internazionale per la messa al Bando delle Mine Antiuomo (di cui esiste anche un ramo italiano) 138 paesi hanno firmato il Trattato di Ottawa tra cui l’Italia, che all’inizio degli anni Novanta “vantava” una grande produzione di mine e che ancora oggi deve fare i conti con le migliaia di mine made in Italy ancora disseminate nel mondo (come documentato in Iraq). Il Trattato di Ottawa, è entrato in vigore nel 1999 e sancisce la proibizione di uso, stoccaggio, produzione e vendita di mine antiuomo e relativa distruzione in tutti i paesi del mondo. Diversi, troppi sono gli stati ancora non firmatari, tra i quali Stati Uniti, Corea del Nord, Cina, Russia, Cuba e Israele.
sintesi di Alessandro Bruni dell'articolo originale di Unimondo del 8 marzo 2019