Per antifascismo interiore
Sono andato alla manifestazione nazionale antifascista di Milano per la ventiseiesima volta consecutiva. Non sono mai mancato.
La prima volta è stata il 25 Aprile 1994, in una giornata tremebonda di pioggia battente, immediatamente dopo la clamorosa vittoria elettorale di Silvio Berlusconi. Allora sembrava che stesse per giungere una fine del mondo che non è poi arrivata, ma certamente cominciava in quei giorni un tempo di disarticolazione delle coscienze, che ci ha portati fino a “questo” 25 Aprile, quello dell’anno del Signore 2019, che sembra volere sfuggire proprio allo stesso Signore.
Per ventisei anni consecutivi ho compiuto sempre lo stesso percorso, in automobile o in treno da Castano Primo a Milano, e poi da Lampugnano o dalla Stazione Cadorna fino ai Giardini Pubblici o a Porta Venezia. Per fedeltà. Per antifascismo interiore. Per idiosincrasia verso i poteri disumani e verso i totalitarismi.
Quell’immensa e poetica manifestazione del 1994 era stata un atto istintivo di reazione a una sconfitta bruciante, come lo scatto del pugile che viene inaspettatamente messo al tappeto da un avversario sconosciuto e che tenta immediatamente di rialzarsi e di riaffermarsi, dichiarando di essere ancora forte.
Quest’ultima invece è stata semplicemente triste, nonostante i tanti sorrisi e le strane dichiarazioni d’orgoglio per l’appartenenza a un mondo, la sinistra, che dice a sé stessa di volersi ricostruire senza però volere cambiare nulla di quanto è stato nel passato: parlando lo stesso linguaggio, utilizzando gli stessi schemi mentali, ripetendo le stesse parole d’ordine, cantando le stesse canzoni, recitando perfino gli stessi stupidi insulti a Israele e alla Brigata ebraica, proponendo le stesse stanche e sorridenti liturgie.
Quando arrivo in Corso Venezia, davanti ai Giardini Pubblici, ogni anno ho sempre più la sensazione di trovarmi accanto a un’umanità che esce ogni dodici mesi da un guscio rassicurante e dice a sé stessa di rappresentare qualcosa e qualcuno, che invece essa stessa non riconosce più. Mi piacerebbe chiedere a tutti, uno ad uno, nessuno escluso, di quale sinistra si fa parte e quali siano i cosiddetti valori che si intendono difendere.
Sarò spietato. I valori di cui parlano molti invecchiati uomini e donne della sinistra di oggi mi sembrano sempre di più i valori di cui si parla spesso e volentieri nelle comunità parrocchiali italiane: un coacervo confuso di buone intenzioni e di nostalgie del passato, di auspici benevoli e di astrazioni che vengono duramente sconfitte dalla storia quotidiana. Una pessima poesia, venata alla fine di un’ipocrisia latente e devastante.
Una sinistra senza colpe ma balbettante
Quest’anno ho preteso di mettere in pratica il pensiero di Martin Lutero, quando diceva che “le orecchie sono l’unico organo del cristiano”. Tralasciando il contesto religioso, ho ascoltato e osservato quest’umanità con la quale ho condiviso il sentimento civile più nobile che si possa sperimentare nell’Europa di oggi: quell’antifascismo che è idiosincrasia verso i poteri disumani e verso tutte le forme di totalitarismo.
Ne ho tratta un’impressione deludente.
La sinistra europea soffre da un lato una crisi etica e culturale su cui non porta grandi responsabilità. Se l’Occidente sta impazzendo e sta gettando a mare le forme più avanzate della sua civiltà democratica e della sua umanità, ricercando di nuovo quell’universo di conflitti e di dolori del passato, la colpa non è della sinistra, la quale in questi decenni ha fatto il suo dovere. Siamo cresciuti sotto ogni punto di vista e abbiamo visto affermarsi la dignità di milioni di uomini nella garanzia dei diritti individuali e sociali. La democrazia ha pervaso le nostre relazioni e la giustizia sociale ha governato amplissimi settori della società civile. Se molti orrori del passato sono scomparsi, il merito è stato di un modello culturale e civile che ha visto contribuire in modo determinante l’idea di “sinistra” intesa non solo come categoria politica, ma come potenziale di umanità e di sviluppo in ogni settore, perfino in ambito religioso e quindi non direttamente politico.
La crisi di oggi ha cause molteplici e complicatissime, che adesso non possiamo spiegare in pochi istanti, ma che dobbiamo affrontare con intelligenza, spessore etico, coraggio e finanche freddezza, perché alla fine l’avversario, che ieri stava dietro l’angolo e oggi esce sul campo di battaglia a viso aperto, è sempre lo stesso: quel totalitarismo a cui abbiamo attribuito il nome di fascista a seguito di un fenomeno storico ben preciso, ma che di fatto rappresenta il peccato eterno e cioè la negazione dei diritti fondamentali della persona umana, dal cibo al vestito, dalla casa al lavoro, dalla salute all’istruzione, dalla famiglia alla sicurezza personale e collettiva per finire alla libertà di essere, di pensare e di decidere.
Davanti a questo nemico, che non considera gli uomini tutti uguali, la sinistra contemporanea balbetta, rivelando l’incapacità di leggere dentro i processi e riproponendo in chiave ideologica le parole, gli stili e le strategie di un Novecento, che ormai è semplicemente il secolo scorso.
Il grande fraintendimento e quella verità cruda e crudele
Dalla manifestazione di ieri ho letto e ascoltato interpretazioni stupefacenti e, a mio giudizio, completamente sbagliate.
Oggi in Italia non esiste una sinistra che si sta ricostruendo, non esistono molti giovani che guardano a sinistra e che assumono responsabilità personali e collettive, non esiste un progetto sociale e civile, non esistono programmi di governo e di gestione dei processi, non esistono indirizzi culturali.
Esistono flebili e confuse reazioni al neofascismo e ai neototalitarismi, soprattutto quando questi ultimi esprimono fatti, scelte, episodi, eventi e soprattutto persone che possono ferire o impressionare la nostra coscienza. Diciamoci la verità. Qualcuno sa come fermare Matteo Salvini? E soprattutto qualcuno sa come penetrare nei territori, proponendo una cultura della solidarietà, della giustizia, della pace e dell’uguaglianza tra esseri umani? Ma soprattutto qualcuno sa farlo con un’elaborazione e una pianificazione di contenuti e di azioni concrete?
A dire il vero io sento spesso grandi e vuote omelie laiche e soprattutto non vedo nessuna opzione storica precisa.
Nicola Zingaretti è, a questo proposito, il prototipo classico di questo fraintendimento.
Con tutto il rispetto per la persona, secondo me Nicola non sa che cosa fare, che cosa dire, che cosa proporre e dove andare. Ripete vaghi e generici concetti di una sinistra novecentesca, come molti sacerdoti che predicano ai matrimoni, ai funerali, ai battesimi e alle catechesi parrocchiali sempre allo stesso modo e con le stesse stanche parole, che quasi nessuno ascolta né capisce. Perché la verità è cruda e crudele. La forza di un progetto culturale, civile e politico non si vede dal fracasso gioioso delle manifestazioni del 25 Aprile, ma dai passi compiuti ogni giorno nei luoghi di lavoro, nei centri educativi, negli spazi aggregativi e finanche sui marciapiedi delle strade. Io lavoro nella scuola statale da trentaquattro anni. Chiedete a me che cosa vedo e che cosa sento ogni giorno e vi dirò, senza tema di smentita, che è in atto un processo di disgregazione etica, spirituale e psicologica che ha inesorabilmente un riverbero socio-politico. Altrimenti non avremmo questa Lega trionfante e un soggetto deprimente, ignorante e inconsistente come Matteo Salvini al culmine della popolarità nella nostra Repubblica.
Un inganno verso noi stessi
La manifestazione di ieri è stata un inganno verso noi stessi.
Voi sapete quanto io sia stato critico davanti ad alcune scelte autodistruttive della sinistra nel corso dell’ultima interessante esperienza di Governo, che sarà pure stata portatrice di contraddizioni e di uno stile irritante, ma che era profondamente innovativa per i cambi di passo che ha proposto nella politica italiana e per i tentativi generosi di riforma di alcune componenti fondamentali della Repubblica e delle sue leggi.
Ma la sinistra vecchia e obsoleta, quella che intende sempre specchiarsi in un modello stantio come è ormai stantia l’industria pesante sovietica, non è stata al gioco e non ha accettato queste istanze di rinnovamento. E così, caduto tutto, adesso ci ritroviamo con questi raffinati galantuomini al Governo della Repubblica.
Faccio soltanto un esempio innocente e secondario. Osservate il cambiamento editoriale del quotidiano “La Repubblica” dopo l’allontanamento di quella persona perbene, che è Mario Calabresi. Quell’inamovibile e decrepito solone straparlante di Eugenio Scalfari ha detto che il giornale sarebbe finalmente “tornato quello di prima” e infatti è stato proprio così.
“La Repubblica” del 2019 sta al PD di Zingaretti come “L’Unità” del 1956 stava al PCI di Togliatti: un grigio e acritico organo non tanto di partito, ma di fazione. Avevamo bisogno di un giornale così? Per non parlare della CGIL di Susanna Camusso che, prima dell’arrivo di quell’interessantissimo sindacalista che è Maurizio Landini (e dico sul serio), si è attorcigliata per anni in una strategia politica di guerre intestine al centro-sinistra, dimenticando i problemi reali dei lavoratori.
Che cosa ricostruire davvero
Senza addentrarci eccessivamente nelle scelte politiche immediatamente future, possiamo però operare una breve riflessione su ciò che attende prossimamente questa sinistra italiana così afasica e vi confido che, quando sento Zingaretti parlare di elezioni politiche anticipate, vengo colto da una sensazione di terrore che attraversa la mia colonna vertebrale.
L’altra sera concordavo per la prima volta perfino con quel detestabile, narciso e brontolone professore di Venezia, vale a dire Massimo Cacciari, che strepitava davanti al Nulla Cosmico dell’attuale PD di Zingaretti. Ditemi voi come si possa andare a un massacro elettorale senza uomini di valore, senza programmi chiari, senza strategie di alleanze e di Governo e senza un briciolo di organizzazione territoriale, a meno che si creda che recuperare i due o tre o quattro elettori della sinistra radicale, divisa (mi pare) in almeno undici formazioni politiche, o che stipulare alleanze con i poetici esponenti di +Europa sia sufficiente per sconfiggere il fascio-leghismo travolgente.
Ho l’impressione che si stia viaggiando su un mezzo che viene guidato da conduttori improvvisati, che non hanno la nozione dell’orientamento e che non sanno dove andare. Una sinistra con questa struttura è già stata sconfitta dalla storia e non è nella condizione di difendere niente e nessuno.
Invece occorre ricostruire non tanto un’idea antica di sinistra, ma un profilo politico e istituzionale di democrazia, di sviluppo, di crescita, di dignità umana e civile, attraverso programmi chiari e assolutamente concreti e attraverso la costituzione di un sistema educativo forte e permanente, che al momento non c’è e forse non c’è mai stato.
Ieri a Milano ho attivato gli orecchi di Lutero e ho aguzzato la vista, ma purtroppo ho ascoltato banalità e ho visto soltanto un gran numero di pensionati e nessuno si senta offeso per questo colpo, visto che, se il mio Dio mi darà ancora un briciolo di vita e di salute, tra non molto sarò pensionato anch’io.
Però oggi la sinistra italiana è semplicemente vecchia, a partire dalla stessa anagrafe, e non insistiamo, per umana pietà, sulla sua pochezza progettuale e sulla sua inefficacia comunicativa.
L’occasione sprecata
A dire il vero, un’occasione immensa l’abbiamo avuta tra le mani, ma abbiamo ritenuto di sprecarla in modo assurdo e demenziale.
Infatti un giovanotto di quarantaquattro anni, originario di Rignano sull’Arno, nella provincia di Firenze e nella diocesi di Fiesole, uno scossone formidabile e straordinario lo aveva dato. Però è andata come è andata e adesso ci siamo potuti godere questo 25 Aprile surreale di una sinistra felice della propria agonia.
Ma sul giovanotto di Rignano sull’Arno, di cui non ho nemmeno pronunciato il nome, mi fermo qui per due motivi: il primo è il pericolo che mi si riapra l’ulcera allo stomaco per la rabbia di averlo visto gettato a mare e il secondo è che la rabbia di molti compagni che mi leggono, al solo riferimento dell’odiatissimo giovanotto, comincino a perdere sangue dal naso e dalle gengive.
scritto da Egidio Cardini