25 aprile e 1°maggio sono due festività vicine non solo per il calendario, ma per il loro denso significato di memoria per il futuro. Un futuro che sempre cambia e ha necessità di rivedere quelle derive che ogni contemporaneità comporta e quei ricorsi di mitizzazione che il passaggio dall'idealità al concreto quotidiano determinano. Qual'è il significato di queste due festività oggi? Sicuramente la valutazione di prospettive più culturali che politiche tra il linguaggio proprio del fascismo e dell'antifascismo, del populismo e dell'antipopulismo.
Recentemente Claudio Bezzi ha pubblicato un lungo articolo di grande impatto dal titolo "Antifascismo del terzo millennio" cercando di fare luce sul linguaggio che domina l'attuale populismo e antipopulismo. Un articolo schierato, duro, ma anche illuminante. Da questo articolo ho stralciato alcune frasi che ho ritenuto significative secondo il mio modo di pensare. Come sempre accade quando leggiamo un altrui pensiero rimaniamo legati ad alcuni passaggi del ragionamento di chi scrive, mentre altri ci appaiono meno significativi. È questa una appropriazione del tutto personale che talora può anche finire col travisare il pensiero originale. È un pericolo culturale che Bezzi stesso sottolinea come proprio del linguaggio imperante sul web di massificare i concetti ad uso e consumo personale senza coglierne i significati profondi. È con questo rischio che propongo una sintesi dell'articolo di Bezzi con il rischio di distorcere il pensiero originario per derive personalistiche. Per limitare questo pericolo invito a leggere l'articolo originale completo, perché il lettore possa a sua volta compiere una selezione comparativa e personale del suo significato.
Antifascismo del terzo millennio
Il concetto di ‘fascismo’ non può essere utilizzato solo per identificare il ventennio mussoliniano e i suoi seguaci contemporanei; ‘fascismo’ è un’idea di sopraffazione, di gerarchia, di identità esclusiva, che si riverbera nell’idea del rapporto di genere (maschilista), dell’approccio allo straniero (razzista), della superiorità di un “noi” da contrapporre agli altri, con conseguenze sulle scelte economiche (protezionismo autarchico), sociali (prima gli italiani), culturali (negazionismo storico). Il fascismo seduce il popolo e lo usa come strumento di consenso, di collaborazione e delazione, di coercizione delle minoranze.
Soprattutto il fascismo è omologazione, massificazione, stereotipia di pensiero. Il fascismo è obbligare a dire.
Il fascismo è massa compatta, consenso senza discussione, credere-obbedire-combattere, fiducia assoluta nel leader, disprezzo per il pensiero critico, persecuzione del diverso. Il fascismo ha bisogno di questa omologazione, in un popolo obnubilato, senza memoria storica, senza strumenti culturali, che ripete come un mantra l’ultimo slogan, l’ultima parola d’ordine, l’ultima direttiva.
Oggi non esiste un pericolo fascista inteso come presa del potere. Oggi il potere è già in mano a chi, senza levare il braccio nel saluto romano, senza ostentare la minaccia della forza fisica, cavalca la massificazione culturale degli italiani vivendo il culto della personalità, istruendo le masse con slogan ipersemplificati, vellicando egoismi, esclusioni, reazioni verso le minoranze più visibili e più critiche. Oggi al governo dell’Italia abbiamo un partito chiaramente fascista nel senso qui indicato, alleato con un patetico movimento protofascista, come protofascisti sono tutti (nessuno escluso) i movimenti populisti.
Perché nella confusione concettuale che regna, nel mescolarsi attuale di ideologie, nello iato fra popolo ed élite, nel diffondersi di potentissimi strumenti di consenso di massa, nella quasi scomparsa capacità di critica, nell’ignoranza celebrata come valore, il populismo fascistoide e il fascismo palese non riescono quasi più a trovare avversari politici, salvo sparute resistenze individuali destinate a soccombere.
Oggi dobbiamo osservare un altro modo di imporsi del fascismo. Un modo subdolo e vincente che richiede una riflessione nuova, e un nuovo antifascismo. Oggi il fascismo e l’antifascismo si giocano sul terreno del linguaggio.
Il linguaggio ci fa dire, e si impone su di noi per la sua natura coercitiva (questo intendeva Roland Barthes). La grande differenza fra il ventennio di Mussolini e questo primo ventennio del terzo millennio riguarda la tecnologia della comunicazione, Internet 2.0. Facebook. Nessun manganello, nessun olio di ricino. Oggi chi sa pilotare i social media governa, e può profondamente influire sulle masse domestiche come su quelle straniere.
Ci troviamo quindi di fronte a un dilemma cruciale: senza parole non esiste società, ma le parole – sempre fonte di potere – oggi riescono a indirizzare interi popoli, le loro scelte, senza che ne siano consapevoli, e anzi nella certezza di avere ragione, di essere nel giusto, di “sapere come vanno le cose”, e ancora: senza una reale possibilità, fosse pure ex post, di mostrare l’errore, di ragionare con dati e argomenti, di chiarire il disastro…
Oggi serve un antifascismo della parola.
Un faticosissimo, estenuante, pericoloso antifascismo della parola, capace di testimoniare, sempre, con continuità, una verità. E cos’è la verità, se non quella limitata, contingente, parziale, sfuggente che costruiamo momento dopo momento in una relazione non mediata col mondo, con la società, con gli altri e con le loro idee? Una verità negoziale, convenzionale, relativa e operativa. Ma soprattutto, appunto, non mediata.
L’antifascismo del terzo millennio combatte il falso, la fake news e le post verità, non ha paura di dire cose scomode, non tollera gli imbecilli, combatte, per quanto fiato ha in corpo, l’omologazione, la massificazione, l’ideologismo, il politicamente corretto, il linguaggio consumato, il pensiero piccolo borghese e quello populista, la scorciatoia logica, la mancanza di consequenzialità, l’irrazionalismo, l’ipocrisia, la cretineria dei no vax come la barzelletta dei terrapiattisti, esempi orridi dell’antiscientismo trionfante.
Oggi essere antifascisti vuole dire essere razionalisti. Laici. Inclusivi. Disincantati. Questa è la formula del pensiero critico, l’unico capace di opporsi all’essenza del fascismo (l’omologazione) e alle sue molteplici rappresentazioni.
stralcio di sintesi di Alessandro Bruni dell'articolo di Claudio Bezzi pubblicato in Il salto di Rodi del 24 aprile 2019