I dati Istat pubblicati nella settimana che si conclude oggi ci hanno consegnato l’ennesima fotografia drammatica della grave crisi demografica del nostro Paese. Se l’attuale trend negativo nel saldo tra nascite e morti accompagnato dalla fuga di giovani istruiti proseguirà, nel 2050 l’Italia si ritroverà con circa 6 milioni di persone in meno in età da lavoro. Anche altre crisi demografiche sono serie, ma quella italiana è impressionante. E purtroppo più tema di discussione tra le forze politiche e nell'opinione pubblica che di decisioni davvero sagge e utili. Con circa 1,3 figli per donna, da noi ogni anno il saldo tra nascite e morti è fortemente negativo, e alla lunga insostenibile.
Il bilancio migliora molto, ma solo col passare del tempo. Se il contributo dei figli al senso della vita è sempre positivo e significativo anche nei primi anni di età, quello alla soddisfazione di vita aumenta quando i genitori sono avanti negli anni e il peso della cura si è ridotto rispetto agli anni della formazione, se i figli non vivono troppo lontano e diventa ancor più importante quando subentrano patologie importanti e i figli non si dimenticano dei genitori.
Uno dei maggiori problemi è quello della povertà di tempo, una giornata a settimana obbligatoria di smart work (lavoro a distanza, da casa) è un vero e proprio calcio di rigore a disposizione dei politici che vogliono contribuire a risolvere il problema. È ormai tecnicamente possibile per quasi tutte le tipologie di lavori, non riduce la produttività delle aziende e non ha costi per lo Stato. La seconda soluzione di cui si discute molto è il beneficio universale per il figlio, ovvero un contributo economico che scatta quando nasce il figlio e lo accompagna per alcuni anni.
Efficace sarebbe un contributo monetario direttamente indirizzato ad alleviare la povertà di tempo e a stimolare l’emersione dell’economia di cura che ruota attorno alla generazione sandwich dei giovani adulti «sderenati dalla combinazione lavoro-famiglia» e dal doppio compito di cura verso figli e genitori anziani.
In Francia il voucher per i servizi alla famiglia e alla persona ha offerto sgravi fiscali significativi e simili a quelli adottati per le ristrutturazioni edilizie in Italia, favorendo così non solo la natalità ma anche l’emersione di attività economica con benefici per la creazione di posti di lavoro e proventi fiscali per lo Stato. È insomma evidente dal quadro che abbiamo disegnato che se gli ostacoli alla natalità non impediscono ancora per fortuna ad un numero significativo di donne di scegliere di avere un primo figlio, l’esperienza della povertà di tempo e del carico di incombenze dopo la nascita dello stesso riduce fortemente la propensione ad avere un secondo figlio o addirittura un terzo. Per questo sempre in diversi Paesi i benefici fiscali per quest’ulteriore scelta sono maggiori, con effetti importanti sulla decisione di avere almeno due figli per famiglia.
scritto da Leonardo Becchetti, pubblicato in Avvenire del 22 giugno 2019
segnalazione e sintesi di Alessandro Bruni