Tra gli effetti più perversi della globalizzazione c’é stata la crescente disuguaglianza e la riduzione del potere d’acquisto degli operai e ceti medi (dai 20mila ai 40-50mila euro di reddito lordo annuo) in molti Paesi europei e Usa. Una riduzione dell’imposta sul reddito per queste famiglie sarebbe positiva se però poi non si aumenta l’iva (tassa sui consumi) o il debito pubblico: se no quello che si guadagna da una parte si perde dall’altra e, alla fine, a guadagnarci sono ancora e sempre i ricchi e la disuguaglianza aumenta ancora di più. Ecco perché tutti i Paesi democratici hanno sistemi fiscali progressivi (chi più guadagna, più paga) in cambio di servizi pubblici gratuiti per tutti (sanità, scuola, pensioni, strade,…) che sono usufruiti soprattutto dai ceti poveri e medi.
La flat tax (tassa piatta) va invece in direzione opposta. Favorisce i ricchi con un’imposta sul reddito con aliquota unica (in Italia sarebbe del 15%), anche per chi guadagna un milione di euro. E’ stata adottata in Russia e nei paesi ex comunisti dell’Est-Europa: aliquota del 13% in Bielorussia e Ucraina, 23% in Lettonia, 20% in Estonia e Georgia, 16% in Romania, 15% in Ungheria e Lituania, 10% in Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria.
I primi ad andare in questa direzione sono stati i paesi baltici: Estonia, Lituania, Lettonia nel 1996, seguiti dalla Romania (2005), dalla Bulgaria (2008) e dell’Ungheria (2011) e nel 2017, i tre paesi baltici hanno deciso di abbassare ancora l’aliquota.
Ma c’è chi invece ha abbandonato la flat tax come Repubblica Ceca, Slovacchia, Albania, Serbia e Islanda introducendo altre aliquote. Ceca e Slovacchia sono passate da solo 19 a 19 e 25, Albania da 10 a 10 e 25, Serbia dal 14 a tre aliquote (10-20-35).
In Italia e nei grandi Paesi europei la flat tax non esiste in quanto vige il principio democratico che le imposte si pagano in modo progressivo (più guadagni, più paghi) attraverso un aumento delle aliquote sullo scaglione successivo. Per esempio in Italia sino a 8mila euro all’anno non si pagano imposte (aliquota sarebbe 19% fino a 15mila euro), in quanto ci sono detrazioni per cui l’imposta è zero. Chi invece ha un reddito basso attorno ai 15 mila euro, paga il 19% su circa 7mila euro pari a circa 1.300 euro (se non ha detrazioni).
Nello scaglione successivo (che va da 19mila a 28mila euro) l’aliquota sale al 27%, per cui chi guadagna 28mila euro paga su questo ulteriore reddito il 27%, cioé circa 4.850 euro. E così sullo scaglione da 28mila a 55mila euro poiché l’aliquota è 38% ha un’imposta (se guadagna 50mila euro) di altri 8.360 euro. In complesso per chi ha un reddito di 50mila euro l’imposta attuale è circa 13mila euro (dipende dalle detrazioni per figli, coniuge a carico, etc.), mentre con una aliquota del 15% l’imposta scenderebbe a circa 7.500 euro. In Italia avevamo nel 1975 ben 32 aliquote e quella massima era del 72%. Ma è stato anche il periodo della storia in cui l’Italia è cresciuta di più. Poi le imposte sul reddito (per andare incontro al “popolo”) sono sempre più diminuite (ma è aumentata l’iva). Dal 2000 siamo scesi a 5 aliquote con la massima al 45% (oggi 43%), ma la pressione fiscale è aumentata passando dal 26% del 1975 al 42,4% del 2017. A minori imposte sul reddito si pagano quindi molti più contributi sociali (con forte aumento del costo del lavoro) e più imposte sui consumi (iva). A rimetterci sono state le imprese (il costo del lavoro è cresciuto) e i ceti operai, medi e poveri (con iva maggiore). Se poi consideriamo che sono state abolite l’imposta sull’eredità e sulla prima casa si capisce bene perché l’Italia sia diventato un Paese fondato sulla Rendita anziché sul Lavoro. Ed è anche questa la ragione per cui non cresciamo da più di 30 anni.
Attualmente il 61% delle imposte sul reddito proviene da chi ha redditi fino a 50mila euro e il 39% dai redditi superiori.
I Paesi dell’Est Europa possono “permettersi” la flat tax perché sono Paesi “poveri” e che beneficiano in modo enorme dalla partecipazione al mercato comune europeo e all’area Euro. La Russia non pare affatto aver tratto benefici: è diventato il Paese più diseguale al mondo, quello che più di tutti favorisce i ricchi oligarchi, è in recessione da 2 anni, ha dovuto aumentare l’età pensionabile da 60 a 65 anni e quest’anno crescerà dell’1%. Più complicato è introdurre la Flat tax in un Paese democratico perché un calo di imposte sul reddito produce o un aumento delle imposte sui consumi, o un aumento del debito o un calo nei servizi, tutte cose che innescano proteste.
Il Presidente della provincia di Trento il leghista Fugatti ha spiegato a Salvini e Tria che la provincia autonoma di Trento (con 500mila abitanti) avrà circa 30-40 milioni all’anno di entrate in meno con la flat tax e che non possono permettersi questa perdita di gettito perché ridurrebbe i buoni servizi che erogano ai loro cittadini; pretendono quindi di dare 30-40 milioni in meno allo Stato centrale (se mai la Flat Tax si farà). Essendo una provincia autonoma hanno maggiori margini di manovra (Salvini ha promesso che qualcosa si farà). Cosa fa capire questa storia? Che molto probabilmente la flat tax comporterà una riduzione delle tasse per circa 4-5 miliardi in tutta Italia che sarà pagata facendo altro debito (le altre Province e Regioni non staranno certo a guardare). Debito che sarà pagato (prima o poi) dagli italiani, perché anche il genio italico non ha ancora trovato un modo per non pagarli (se non fallendo come Stato…ma allora saranno guai per tutti e non solo per lo Stato).
L’idea della destra economica è che ridurre le tasse darebbe uno svantaggio allo Stato solo nel primo anno perché cittadini e imprenditori avendo più denaro lo spenderebbero in consumi e investimenti e lo Stato, (con più consumi e investimenti) avrebbe le stesse entrate fiscali. Di questa teoria però non c’è nessuna evidenza empirica nella storia. E in Russia dove la sperimentazione della Flat Tax è iniziata 15 anni fa, si è creata la più alta disuguaglianza al mondo. Succede infatti che lo Stato avendo meno entrate o fa più debito o spende di meno nei servizi (scuola, sanità, strade, disoccupati,…) o aumenta l’età pensionabile (come ha fatto appunto la Russia). Risorse che sono usate soprattutto dagli operai, ceti medi e poveri. Il risultato è ancora una volta un regalo ai ricchi, facendo così crescere le disuguaglianze tra gli italiani…che dovrebbero essere proprio combattute da chi si dice “nazionalista”.
Se poi minori tasse sul reddito fossero finanziate con un aumento dell’Iva (tassa sui consumi), anche in questo caso a rimetterci sarebbero operai, ceti medi e poveri in quanto le imposte sui consumi graverebbero in modo uguale sia per poveri, operai che ricchi che, a parità di consumi, pagherebbero le stesse imposte. Per questo in Italia in 70 anni di vita democratica nessun Governo ha mai finanziato la riduzione delle imposte sul reddito con un aumento dell’iva sui consumi (una tassa regressiva come si dice). Il cambiamento ci sarebbe, ma in peggio per il 70% della popolazione; i ricchi invece ci guadagnerebbero non poco e aumenterebbe ancora di più la disuguaglianza.
E’ inutile continuare a illudere gli Italiani; col debito che abbiamo (38mila euro per abitante e più di mille euro a testa pagati ogni anno solo per gli interessi), le poche risorse disponibili andrebbero usate per ridurre il costo del lavoro dei giovani assunti e favorire il Lavoro e l’intrapresa dei pochi imprenditori e artigiani che ci sono rimasti. Solo nel momento in cui il Paese ritornerà a crescere come occupati si potranno ridurre le tasse ma innanzitutto a chi ha bassi redditi, non certo ai ricchi.
scritto da Andrea Gandini