Il suicidio assistito non è reato. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con una sentenza che suona come uno schiaffo al Parlamento che, nonostante abbia avuto un anno di tempo, non ha legiferato in merito. Per la Consulta non è punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli». La Corte «ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente». L’intervento degli ermellini «si è reso necessario per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018». Infine: «Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate». ...
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Refuso
All’indomani della sentenza - o, meglio, dell’annuncio dei suoi contenuti -, la Corte Costituzionale corregge il proprio comunicato e amplia la finestra entro la quale è possibile ricorrere al suicidio assistito. Ieri, infatti, tra i prerequisiti di questa scelta si leggeva (anche) la presenza di “una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche”. In mattinata, invece, l’ufficio stampa ha comunicato la necessità di correggere “un errore materiale”, cioè un refuso, presente nel testo diffuso ieri sera: non “sofferenze fisiche “e” psicologiche, ma “o” psicologiche.
Vale a dire che per accedere alla morte programmata non serve la presenza di entrambe, ma solo di una, ovviamente unita agli altri criteri (esistenza di una patologia irreversibile, sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale, assunzione di una decisione libera e consapevole, rispetto delle norme su consenso informato, cure palliative e sedazione profonda, e parere del comitato etico territorialmente competente).
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Russo (Cei): non è libertà, ma cultura della morte
La Chiesa italiana ribadisce lo “sconcerto” per la sentenza della Corte Costituzionale che apre al suicidio assistito. Assicura che sarà “vigilante” su come legifererà il Parlamento, con la speranza che contenga “paletti forti” e tuteli la garanzia del diritto di obiezione di coscienza per il personale sanitario. Lo fa attraverso le parole del segretario generale – il vescovo Stefano Russo - durante la conferenza stampa a chiusura della sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente.
“Non comprendiamo come si possa parlare di libertà”, ha rimarcato monsignor Russo. “Qui si creano i presupposti per una cultura della morte, in cui la società perde il lume della ragione”, ha proseguito il vescovo, secondo il quale “stiamo assistendo a una deriva della società, dove il più debole viene indotto in uno stato di depressione e finisce per sentirsi inutile”. “Speriamo che ci siano dei paletti forti”, è l’auspicio in attesa di vedere il dispositivo della sentenza.
Per Russo poi “è anomalo che un pronunciamento così forte e condizionante sul suicidio assistito arrivi prima che ci sia un passaggio parlamentare”. “In Europa – sottolinea - è la prima volta che accade”. Il segretario generale della Cei ha quindi garantito l’impegno dei vescovi italiani ad essere “attenti e vigilanti a tutela della vita delle persone, soprattutto di chi si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, di malattia”. ...
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I medici prendono le distanze
Filippo Anelli, presidente dell'Ordine: non sia un medico ad avviare il procedimento. “Ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone un responsabile, sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico”, ha scandito a caldo. E se già ieri sera ipotizzava come probabile una forte resistenza del mondo medico a irrogare deliberatamente la morte, stamattina il suo timore è già un dato di fatto: diversi Consigli dell’ordine, tra cui quello di Roma e Novara, hanno infatti preso le distanze dalla sentenza della Consulta.
“Per noi – ha fatto sapere Antonio Magi, che rappresenta i medici della capitale - non cambia assolutamente nulla. Il Codice parla chiaro e all’articolo 17 stabilisce che anche su richiesta del paziente non dobbiamo effettuare né favorire atti finalizzati a procurare la morte”.
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Associazione radicale Luca Coscioni
“È ora che il Parlamento calendarizzi in aula il dibattito”, ha detto questa mattina in conferenza stampa Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione radicale Luca Coscioni. E Filomena Gallo, segretario dello stesso sodalizio: “Ora ha non soltanto una traccia, ma una base da cui non potrà discostarsi”.
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Commento (opinabile) di Alessandro Bruni
La sentenza della Corte costituzionale ha il pregio di aver sottolineato l'urgenza di una disposizione legislativa, ben chiarita dall'articolo de La Stampa: suona come uno schiaffo al Parlamento che, nonostante abbia avuto un anno di tempo, non ha legiferato in merito. Ora è un ribollire di posizioni pro o contro che finiscono col determinare contrapposizione ideologica piuttosto che riflessione personale e collettiva. Il tema è stato già da tempo posto in ambito europeo sia sul piano legislativo sia su quello religioso (non solo cattolico, si vedano le posizioni dei cristiani riformati). Non c'è nulla da inventare, ma solo trovare con rispetto reciproco quella mediazione socio-antropologica che si attagli al senso comune di fronte alla morte in Italia (arriveremo ad un referendum? Se ci si arriva è dovuto senz'altro ad un atteggiamento pilatesco del Parlamento).
Il tema del fine vita riguarda tutti e non può essere deciso solo da posizioni etico-ideologiche (che riguardano la persona) o solo mediche (che sono espressione tecnica, quando non coinvolgono la libertà di coscienza, che però riguarda tutti non solo i medici, ma anche i pazienti), ma solo legislativa con norme di applicazione a carico di una commissione pluralistica che consideri la situazione caso per caso sulla base di un testo legislativo rispettoso delle diverse posizioni. Semplice? No, complicato, ma la posizione di ognuno di noi di fronte alla morte è complessa legata com'è alla propria storia, alla propria etica, al proprio libero arbitrio, alla propria libertà religiosa, alla propria libertà di coscienza: tutte posizioni di rispetto e non di discriminazione che non possono essere singolarmente imposte, ma complessivamente considerate.
Ci riusciremo formulare una legge e a disporre una applicazione non ipocrita? Forse no, ma almeno ci sia una riflessione ampia dell'opinione pubblica dato che devono essere tenuti in conto molti fattori prima di tutto etico-giuridici e poi di normativa tecnica esecutiva. Purtroppo nei prossimi giorni ci dovremo sorbire sul fronte politico l'appropriazione del tema per fini propagandistici e così si finirà con lo svilire le posizioni laiche e quelle religiose che invece esigono entrambe rispetto, piuttosto che radicalizzazione.