Il dibattito sul tema del fine vita è per sua natura assai complesso e volendone fare una analisi sensata non si può che partire dalle più diverse opinioni etiche, senza dimenticare la necessità di un sufficiente bagaglio di conoscenze scientifiche e mediche per dare un fondamento alle singole opinioni. Quello che propongo con questo e il precedente post non è una conclusione (e chi ce l'ha?) ma l'invito ad affrontare il tema senza un pregiudizio aprioristico partendo dalla realtà operativa di pazienti e medici negli hospice. Tra questi due post rimane la distanza siderale tra chi affronta il tema nel limbo filosofico e chi lo affronta nell'inferno degli ospedali. Nei due casi l'impatto etico-morale si scontra con quello emotivo-pragmatico. Forse alla fine dei due post dovevo inserire un captcha con "io non sono un robot", andava bene per entrambi i post. Buona lettura. Alessandro Bruni
Quella della Corte costituzionale è una sentenza rivoluzionaria sul tema delicatissimo del suicidio assistito: “La Corte ritiene non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Ora spetterà al Parlamento cambiare la normativa sulla punibilità dell’aiuto al suicidio, come era stato invitato a fare già un anno fa. Per contribuire a un dibattito pubblico plurale e consapevole, un gruppo di lavoro interdisciplinare di medici e giuristi ha individuato e raccolto in un documento le principali questioni giuridiche sulla legalizzazione del suicidio assistito.
snippet dal Il Pensiero Scientifico
Testimonianza
È un uomo di mezza età, portatore di un carcinoma metastatico. Ha una pessima qualità di vita a causa di un dolore ormai persistente che gli impedisce anche di dormire.
Quando riesce a strappare qualche ora di sonno, scopre che poi il dolore gli rende quasi impossibile alzarsi dal letto. Ha provato di tutto (oppioidi, radioterapia, agopuntura, cannabis), con un sollievo scarso e di breve durata. Ora non sa più cosa fare, si sente frustrato e il dolore fisico, che non gli dà tregua, si è caricato anche di una forte componente esistenziale. Ha ammesso di pensare sempre più spesso al suicidio.
Gli ho posto tre domande: “Ha un piano? Ha i mezzi? Ha già pensato a una data?”.
Ha risposto sì alle prime due e no alla terza, ma – ha aggiunto – solo per la forte responsabilità che sente verso i familiari. “Non sono pronti, hanno ancora bisogno di me per il negozio e per molte altre cose”. Ha descritto il suo piano senza emozione nella voce, e mentre lo ascoltavo balenavano nella mia fantasia le immagini di lui e di chi l’avrebbe trovato.
Nonostante il mio tentativo di non sembrare sorpreso della sua confidenza, deve aver colto lo sconcerto nel mio sguardo perché ha cambiato argomento dopo avermi rassicurato che non si sarebbe suicidato, almeno non nel prossimo futuro. È seguito da uno psicologo e ha un appuntamento con un ennesimo specialista del dolore.
Quando tornerò a visitarlo spero di ritrovarlo, ma non ne sono sicuro.
Cosa fare se la mia vita non è più degna di essere vissuta?
Nella cultura dei Paesi occidentali il suicidio rimane un argomento tabù. Mentre alcuni fattori di rischio sono ben noti, i nessi tra malattie non trasmissibili (malattie terminali cronico-degenerative - MTCD) e suicidio sono stati fino a ora scarsamente esplorati.
Per contro, l’aumento progressivo del numero degli Stati che approvano l’eutanasia (E) e il suicidio medicalmente assistito (SMA) e il crescente favore dell’opinione pubblica renderebbe invece necessario uno studio approfondito del problema. Le cure palliative (CP) costituiscono un valido strumento per contrastare l’ideazione suicidaria, ma molte persone cronicamente malate scelgono comunque di accelerare la morte tramite E o SMA.
Nei Paesi occidentali dove E e SMA non sono legalizzati, è iniziato dal 2001 un fenomeno definito “turismo del suicidio” verso la Svizzera poiché questo Stato garantisce il SMA anche agli stranieri. Un paziente italiano, affetto da una gravissima disabilità post-traumatica (dj Fabo), ha recentemente intrapreso questo ultimo viaggio ed è morto il 27 febbraio 2017 in Svizzera seguendo la procedura del SMA. Un membro del partito radicale (Marco Cappato) che ha accompagnato il paziente si è poi autodenunciato per violazione dell’art. 580 del codice penale. In data 24 ottobre 2018 la Corte costituzionale italiana ha dichiarato che il divieto assoluto di SMA previsto dall’art. 580 del codice penale presenta profili di incostituzionalità in specifiche condizioni quali una malattia terminale che causa sofferenza fisica e/o psicologica insopportabile, accompagnata da una dipendenza dai supporti vitali pur in una condizione di mantenuta capacità di comprendere e decidere consapevolmente (ordinanza n. 207/2018).
La Corte ha inizialmente chiesto al Parlamento di legiferare in proposito prima di pronunciarsi sull’incostituzionalità dell’art. 580. Il Parlamento non ha finora approvato una legge sul SMA, quindi sarà la Corte a decidere nella seduta del 24 settembre 2019. Tenendo conto del contenuto dell’ordinanza n. 207/2018, giuristi e medici, riuniti in un gruppo di lavoro, hanno deciso di aprire una discussione interdisciplinare sulle questioni relative al SMA, elaborando il documento Aiuto Medico a Morire e Diritto: per la Costruzione di un Dibattito Pubblico Plurale e Consapevole con lo scopo di contribuire al dibattito pubblico.
Riassunto scritto da Giuseppe R. Gristina, pubblicato in Recenti Prog Med 2019; 110: 1-4 a cui si rimanda alla lettura del testo completo aprendo questo link
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Aiuto medico a morire e diritto: per la costruzione di un dibattito pubblico plurale e consapevole
Il 24 ottobre 2018, la Corte costituzionale ha riconosciuto come il divieto assoluto di aiuto al suicidio, previsto all’art. 580 del codice penale, presenti alcuni profili di illegittimità. Da un lato, la disposizione è «funzionale alla protezione di interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento» (p. 6), come il bene della vita e la protezione delle persone più deboli e vulnerabili.
Dall’altro, in presenza di situazioni specifiche come quelle in cui versava dj Fabo, l’aiuto a morire «può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare» (p. 8). La Corte in particolare, indica quattro condizioni concrete in presenza delle quali il divieto assoluto di aiuto a morire pone problemi di incostituzionalità. Si tratta dei casi in cui la persona sia «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Di fronte a tale situazione, il divieto assoluto di aiuto al suicidio «costringe il paziente a subire un processo più lento, in ipotesi meno corrispondente alla propria visione della dignità nel morire e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care» (p. 8).
Consapevole della portata complessiva delle proprie considerazioni e dei valori in gioco, la Corte ha, tuttavia, deciso di non dichiarare subito l’incostituzionalità dell’art. 580 cp., ma di rinviare la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale all’udienza del 24 settembre 2019. In questo modo, i giudici hanno invitato il Parlamento, in una logica di leale e dialettica collaborazione, a intervenire su una materia posta all’incrocio «di valori di primario rilievo, il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta e immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere» (p. 11). Com’è noto, il Parlamento non ha adottato alcuna disciplina dell’aiuto al suicidio; la Corte si ritroverà, quindi, all’udienza del 24 settembre a decidere come intervenire su una normativa già espressamente riconosciuta «non conforme a Costituzione» (p. 11).
A fronte di tale situazione, e nel solco di quanto sostenuto dalla Corte, nel dicembre del 2018, gli autori di questo documento, accademici e professionisti esperti di tali tematiche, hanno deciso di avviare un percorso di riflessione sulle principali questioni giuridiche del fine-vita. Partendo dall’ordinanza ma non limitandosi ad essa, il gruppo di lavoro si è riunito con cadenza mensile presso l’Università di Trento, con il sostegno del progetto Jean Monnet BioTell, affrontando e approfondendo i numerosi snodi critici dell’ordinanza della Corte costituzionale e dell’eventuale intervento delle Camere.
I risultati di tali riflessioni sono stati quindi raccolti ed elaborati, insieme ad alcune proposte operative, nel documento, che offre una lettura costituzionalmente orientata e scientificamente fondata delle problematiche che si pongono nelle fasi finali dell’esistenza. Si è voluto così dare un contributo al dibattito pubblico auspicato dalla Corte; dibattito che, accompagnando le scelte che verranno fatte nelle diverse sedi istituzionali coinvolte, dovrà essere quanto più consapevole e plurale possibile.
Riassunto scritto dal gruppo di lavoro in materia di aiuto medico al morire, pubblicato in Recenti Prog Med 2019; 110: 1-10 a cui si rimanda alla lettura del testo completo aprendo questo link
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ricomposizione testuale nel rispetto delle fonti di Alessandro Bruni