Chi è il case manager? Bisogni di welfare sempre più complessi richiedono una visione olistica, interventi tailor made e la capacità di coordinare una pluralità di fonti di aiuto. Così si trasforma la professione dell'assistente sociale.
«La persona al centro»: questa frase negli ultimi anni è la chiave di volta degli interventi sociali. I bisogni di welfare individuali e sociali sono profondamente cambiati e dinanzi a questa complessità - che impone la messa in campo di una pluralità di fonti di aiuto e di servizi, sia formali che informali - le risposte del sistema di protezione sociale si sono orientate verso la costruzione di modelli assistenziali caratterizzati da un approccio multidisciplinare e interdisciplinare, capace di leggere in maniera olistica ciascuna situazione di fragilità e di intervenire con un piano assistenziale personalizzato.
Nata negli USA negli anni ’70, la metodologia del case management nel servizio sociale si basa su 5 elementi:
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- valutazione iniziale (assessment);
- costruzione di un piano assistenziale individualizzato (care planning);
- attuazione del progetto (messa in campo di un “pacchetto di servizi”, differente per ogni utente);
- monitoraggio;
- valutazione conclusiva.
La figura chiave di queste metodologia è il case manager. Chi è il case manager? È il professionista che fa da “persona di riferimento” del caso. I suoi compiti includono l’effettiva valutazione dei bisogni dell’assistito, in una visione olistica; la pianificazione dei supporti, delle risorse e dei servizi necessari; la messa in rete delle risorse e degli interventi; il coordinamento dei processi; la garanzia della continuità della presa in carico. Il case manager è un “gestore del caso”, un’espressione poco felice in italiano, guidato nella propria azione sia dall’efficacia degli interventi sia dell’ottimizzazione economica delle risorse. Detto altrimenti, è l’operatore che si fa carico, nell’ottica del caring, di tutte le esigenze della persona assistita, evitando quella presa in carico frammentata e parcellizzata, inefficace e antieconomica, che negli anni scorsi ha portato tante persone a sentirsi come palline da ping-pong, rimbalzate fra un servizio e l’altro.
Tipiche situazioni complesse in cui il case management è una metodologia utile sono le malattie mentali, le persone con disabilità, gli homeless, i minori che necessitano di interventi di messa in protezione, i rifugiati… ma anche l’inclusione attiva delle persone senza lavoro, tant’è che un recentissimo toolkit dell’European Social Network, Tools for inclusive activation. Improving the social inclusion of people furthest from the labour market, proprio in quest’ambito ha sottolineato come il case management garantisca tre vantaggi:
- la personalizzazione dei percorsi e la definizione di piani di assistenza “tailor made”;
- l’aumento del take-up, in virtù del fatto che le persone assistite vengono messe a conoscenza di tutti i servizi e le risorse a cui hanno diritto e accompagnate nella “navigazione” fra i diversi servizi che offrono le differenti risposte;
- il monitoraggio dell’implementazione dei piani personalizzati.
Concludendo, il case manager è l’operatore che si fa carico di tutte le esigenze della persona assistita, evitando una presa in carico frammentata, inefficace e antieconomica. Una nuova professionalità che richiede vocazione e grande senso di solidarietà globale. Una nuova professionalità che diviene sempre più necessaria per governare la complessità del paziente disabile nella gestione familiare.
scritto dalla Redazione di Vita.it, pubblicato il 30 ottobre 2019
snippet di Alessandro Bruni
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