Il coronavirus, COVID-19, COVID-20, che in queste settimane ci ha invaso, più mediaticamente che fisicamente, e sta seminando il panico, tra le molte cose negative, ne ha provocato una positiva: il boom in Francia ed anche in Italia di vendite e quindi di letture o riletture di “La Peste” di Albert Camus.
Nota. Il valore di questo post è elevato sul piano sociologico per la descrizione letteraria del comportamento umano di fronte all'epidemia e alla morte, ma i riferimenti medico-terapeutici sono del tutto fuori luogo dato che la peste è malattia batterica la cui prevenzione e cura è affidata a farmaci potenti ed univoci quali gli antibiotici. Oggi l'uomo contiene la diffusione della peste, che ancora è presente nel mondo, con farmaci efficaci non solo in caso di malattia evidente, ma anche come somministrazione preventiva di sospetta patologia. Ovvero, oggi abbiamo gli strumenti per curarla e contenerne la diffusione. Per il coronavirus l'unica cura preventiva mirata è il vaccino che ancora non c'è; e nel caso di patologia conclamata una seria di terapie complesse con miscele di farmaci che cercano di migliorare le difese dei malati. Concludendo, sul piano medico sono due situazioni epidemiche nettamente differenti (compresi i protocolli di prevenzione sul piano veicolare), mentre la situazione sociologica di oggi con il coronavirus è simile a quella descritta da Camus a Orano in tempi nei quali non erano ancora disponibili gli antibiotici (la penicillina è stata disponibile in quantità operative verso la fine della seconda guerra mondiale in epoca successiva alla descrizione di Camus). (A.B.)
Il romanzo racconta di un’epidemia di peste nella città di Orano, Algeria, negli anni quaranta, quelli drammatici della seconda guerra mondiale. Orano è descritta come una città ordinaria, sia nella vita quotidiana che fisicamente: ” “Questa città deserta, bianca di polvere, satura di odori marini, tutta un suono di grida del vento, geme come un’isola infelice. ” Ad Orano i topi muoiono all’improvviso e portano il bacillo della peste che si diffonde rapidamente. Il tutto, la trasmissione, febbre ed ascessi, difficoltà respiratorie, etc.,etc., viene descritto con precisione. Man mano che l’epidemia cresce, vengono prese misure: isolamento e messa in quarantena dei malati negli ospedali e nelle scuole, soppressione delle sepolture singole, i cadaveri vengono ammassati e trasportati fuori città in forni crematori. La malattia è generalmente seguita dalla morte. Alcune morti vengono raccontate con efficacia: quella di un portinaio, di un cantante che interpreta Orfeo, di un bambino, di un prete e di Jean Tarrou, uno dei personaggi principali. La città colpita dalla peste è tagliata fuori dal mondo. Nessuno può entrare e nessuno può uscire. La posta non viene più consegnata. Solo telegrammi consentono di avere notizie dagli assenti. Ognuno è quindi come un esilio dalla propria famiglia, dai propri cari o amici, vivendo, in un modo o nell’altro, l’esperienza della separazione. Chiunque che rischia di essere infetto diventa una minaccia per gli altri.
L’epidemia costituisce una prova collettiva: “Allora non c’erano più sentimenti individuali, ma una storia collettiva che era la peste e i sentimenti condivisi da tutti.” La minaccia quotidiana della morte e della malattia modificano i comportamenti. Da vita a rivolte ma anche ad azioni di dedizione e solidarietà. Tuttavia, questo non si manifesta con l’eroismo: “Niente è meno spettacolare di una pestilenza e, per la loro stessa durata, le grandi disgrazie sono monotone.”
I personaggi del romanzo sono diversi. Un medico Rieux, un prete Paneloux, un giornalista Rambert, un funzionario comunale Grand, un giudice Othon, un trafficante Cottard, un filosofo solitario, amico del medico, Tarrou. Bernard Rieux è il personaggio principale e l’io narrante. Alla fine del libro, trae le conclusioni: “Tutto ciò che l’uomo poteva guadagnare dal gioco della peste e della vita era conoscenza e memoria.” e afferma che in futuro è possibile un ritorno della peste, i cui bacilli possono restare inerti per anni prima di colpire ancora. Una profezia letteraria che si è avverata nella realtà, in quanto in giugno 2003 a Orano vi sono stati 1 morto e 9 infetti per peste bubbonica e la località dalla quale provenivano tutti i pazienti, Kehailia, a 30 km da Orano, è stata messa in quarantena.
Personaggi collettivi sono la popolazione, che passa dalla paura, alla rassegnazione all’euforia quando la peste sparisce e i funzionari pubblici rappresentati dal prefetto, sembrano inizialmente molto timidi, soprattutto temendo di far prendere il panico dalla popolazione. Alla fine del libro le autorità hanno in programma di erigere un monumento in memoria delle vittime della peste.
“La Peste”, uno dei romanzi più belli del XX secolo, ha una grande valore letterario, avendo contribuito che ad Albert Camus venisse assegnato il Premio Nobel per la letteratura nel 1957, racconta una peste immaginata ad Orano senza riferimenti storici. Ha un profondo senso metaforico. Scritto dopo la seconda guerra mondiale, questo romanzo ha anche un significato metaforico: campi di quarantena, minacce, isolamento, affollamento di pazienti negli ospedali e poi nelle scuole, le cremazioni evocano il nazismo, campi di concentramento, oppressione in tutte le sue forme e resistenza da parte di coloro che si schierano dalla parte delle vittime.
Cosa insegna il romanzo La Peste? La Peste non è solo un romanzo su una malattia, ma anche sulla rivolta che nasce da una presa di conoscenza e di coscienza. Sul coraggio di non farsi prendere dal panico e continuare a vivere la vita. Cosa che non sta succedendo, innanzitutto in Italia, dove il coronavirus, anche per decreto governativo, ha sospeso l’intero paese. Quindi in questi giorni appestati, di quarantene controvoglia e forte allarmismo, per combattere il coronavirus, oltre lavarsi le mani, non bere il caffè al bancone del bar, ma seduti ed altro, va letto e imparato il romanzo La Peste di Albert Camus. E non solo in Italia o in Francia, il romanzo è tradotto in quasi tutte le lingue del mondo, ma anche in Cina, origine del coronavirus.
scritto da Francesco Cecchini, pubblicato in Ancora fischia il vento del 8 marzo 2020
segnalato con nota da Alessandro Bruni