A giugno 2020 sarà pubblicato il libro (solo in inglese per ora) di Sonia Shah “The Next Great Migration: the Beuty and Terror of Life on the Move, Bloombsbury ed.”) dove sono descritti i rischi per noi umani di una crescita economica che deforesta, distrugge gli habitat naturali (spazi vitali degli animali) e li sostituisce con gli allevamenti intensivi di altri animali da ingrasso per noi carnivori. E’ da questi processi che arrivano gli agenti patogeni di malattie infettive, che provengono da animali, per 2/3 selvatici, che vengono a forza “urbanizzati”. La distruzione degli habitat minaccia l'estinzione di molte specie, tra le quali piante medicinali e animali su cui la nostra farmacopea ha sempre fatto affidamento.
Gli studi su Ebola (la cui mortalità era 50 volte superiore a Covid-19) mostrano che la causa è la deforestazione. Essa fece migrare un certo tipo di pipistrelli dell’Africa nei giardini delle città. La loro saliva cade su qualche frutto e quando un uomo lo mangia contrae Ebola. Anche la costrizione di animali in recinti angusti e l’eccitazione-paura vissuta dagli animali nei luoghi di macellazione, oltre al maltrattamento degli stessi, alla vivisezione, possono essere il punto di partenza per nuove ondate di germi patogeni.
Dal 1940 centinaia di microbi patogeni sono comparsi (Hiv, Ebola, Zika,…). Due terzi derivano da animali selvatici ma la causa è sempre la stessa: il dilagare della deforestazione e dell’urbanizzazione che consentono a questi virus di arrivare fino al corpo umano e adattarsi. Anche la vendita e la macellazione di animali selvatici (come nel mercato di Wuhan) in gabbie vicine di specie (che mai lo sarebbero state) favorisce il contagio, ma anche la deforestazione in Brasile o Africa che crea pozzanghere dove le zanzare si riproducono, o la riduzione degli uccelli specialisti (diminuiti del 25% in 50 anni per la distruzione degli habitat).
Anche noi abbiamo eliminato i buoni pipistrelli (che non sono quelli del Covid-19) che mangiavano le zanzare ed ora usiamo sostanze chimiche il cui esito è, dopo un periodo, di aumentarle ancora di più, perché le sostanze usate distruggono anche gli insetti utili che le limitano. Gli allevamenti intensivi di animali hanno deiezioni superiori a quanto riescono ad assimilare i terreni (sotto forma di fertilizzanti) che danno così adito per es. all’Escherichia coli di cui sono portatori la metà degli animali tenuti all’ingrasso.
C’è poi un problema etico (e chissà che non abbia anche degli effetti su di noi): cosa pensiamo del dolore e dell’uccisione che noi infliggiamo agli animali? Mi fermo qui perché il libro merita di essere letto (un’anticipazione è uscita su Le Monde Diplomatique di marzo, è ancora in edicola). Mi pare evidente che la l’attuale pandemia ha una connessione con la crisi climatica, il nostro modello di crescita, le nostre abitudini alimentari, di vita e di civiltà.
Dovremmo correre ai ripari mangiando meno carne, tantomeno da allevamenti intensivi (i polli sono uccisi dopo 36 giorni pieni di antibiotici e se vivono di più non riescono a camminare perché hanno modificato il DNA in modo che aumenti la parte grassa e non le ossa; almeno quelli bio vivono fino a 80 giorni e sono alimentati senza antibiotici). Ma anche avviare un piano mondiale di aiuti a quei Paesi che si impegnano a bloccare la deforestazione. E’ anche questione di soldi…noi le nostre foreste le abbiamo distrutte da secoli, se vogliamo che gli altri si fermino dobbiamo contribuire…il Papa ha detto che siamo sulla stessa barca, ed è vero.
scritto da Andrea Gandini