La differenza tra beni comuni e beni pubblici sociali non è speculazione del pensiero giuridico ma riflette una diversa impostazione di filosofia sociale che si proietta direttamente nelle pratiche attuative. La concezione dei beni comuni implica un coinvolgimento diretto, immediato e consapevole delle popolazioni nella preservazione e gestione dei beni, una responsabilità diffusa e una capacità di auto-normazione. Nel caso dei beni pubblici, invece, la gestione viene delegata e istituzionalizzata dentro strutture e apparati che tendono ad autonomizzarsi in forza delle proprie competenze specifiche con il risultato che la mutualità viene ricondotta alla sfera di competenza esclusiva dello Stato.
Viviamo in un-mondo-di-tanti-mondi, tutti interrelati; esistiamo gli-uni-con-gli-altri, in reciproca connessione. Per dirla con l’ecologia integrale di Bergoglio: “tutto è in relazione”, “tutto è collegato”, “tutto è connesso”. Ognuno di noi dipende dall’organizzazione sociale in cui siamo immersi, dall’aria che respiriamo, dai cibi con cui ci nutriamo, dai materiali con cui sono edificate le nostre case, dai combustibili che usiamo per riscaldarci e muoverci… finanche dai sofisticati sistemi di telecomunicazione che usano in modo sempre più massivo le frequenze elettromagnetiche. Siamo parte dell’universo fisico, materiale ed energetico planetario.
I beni comuni sono prima di tutto un sistema di pensiero, un’immagine mentale del mondo, un modo di vedere le cose e immaginare come poterle usare, trasformare, condividere. Ha scritto magnificamente Stefano Rodotà: «I beni comuni tendono a configurarsi come l’opposto della sovranità, non solo della proprietà». I beni comuni, quindi, si configurano come repertorio di azioni (commoning), pratiche di cittadinanza attiva, esperienze e istituzioni mutualistiche, istituti di self-governance, self-management che danno vita a comunità attive di persone che decidono di gestire per proprio conto l’uso delle risorse di cui dispongono in modo condiviso, partecipato e pienamente democratico.
La salute dovrebbe essere intesa come una risorsa naturale interdipendente con i cicli vitali della biosfera. Se così è, allora risulta evidente che la cura della salute va esercitata in un contesto di comune responsabilità, da esercitare con criteri e principi di equità, solidarietà, compassione, altruismo, amorevolezza. Grazie alla gestione condivisa del bene-comune-salute si possono creare relazioni umane salutari e istituire servizi che creino rapporti sociali solidali profondi promotori di salute.
La dimensione sociale della salute-bene-comune non esime ogni persona dalla responsabilità di farsene carico, anzi, richiede che ognuna si attivi direttamente, consapevolmente ad incominciare dalla cura di sé. Volersi bene significa, prima di tutto, non equivocare il diritto alla salute con il diritto all’accesso a cure sanitarie, ma rivendicare il diritto, per tutte e tutti ad avere la possibilità di condurre una vita sana, non esposta a rischi evitabili e a pericoli nocivi.
La qualificazione della salute come bene comune chiama in causa, alla pari, le capacità individuali di tutta la popolazione e ogni persona di prendersi cura della propria salute e il funzionamento dell’intero sistema sociale che deve rispondere “in solido” (solidariamente) alle necessità delle popolazioni.
Immaginare la salute bene comune richiederebbe un ripensamento della strutturazione sociosanitaria. Non una semplice riorganizzazione dei servizi, ma una rivoluzione nel modo di intenderli. L’obiettivo era quello di creare un presidio capace di fare rete con tutti gli attori presenti sul territorio. In questo modo la creazione di una Casa dedicata alla salute è diventata lo strumento per “fare comunità”.
Se desideriamo che l’accessibilità ai servizi sanitari torni ad essere riconosciuta e onorata come diritto fondamentale di ciascun essere umano, è necessario che le popolazioni concepiscano la salute come un bene comune. Se vogliamo invertire la tendenza alla riduzione della salute a bene individuale (da realizzare acquisendo individualmente sul mercato ciò di cui si ha bisogno), allora è necessario che l’intera comunità riconosca la natura pubblica e generale del benessere psicofisico di ciascun individuo. Si tratta di avviarci fuori dal pensiero liberale per una riconcettualizzazione della salute e del benessere come bene comunitario, non frazionabile e condiviso tra tutti i membri della società.
Se una società riconosce che la salute è un bene comune primario allora saranno tutte le politiche pubbliche a doversi assumere l’obiettivo della sua tutela. La salute concepita come bene comune ristabilisce la gerarchia di valori a cui tutte le politiche economiche, gli assetti produttivi e infrastrutturali, i servizi pubblici, la ricerca scientifica, l’istruzione e quant’altro, dovranno essere finalizzati. Si tratta di un’idea di salute come progetto sociale integrale. Riconoscere la salute come un bene comune, accessibile a tutti, indisponibile e inalienabile comporta la massima assunzione di responsabilità sociale anche da parte dei singoli membri della comunità che si sentiranno chiamati a condurre stili di vita e comportamenti meno a rischio, più sobri, più attenti all’ambiente.
scritto da Paolo Cacciari, pubblicato in www.saluteinternazionale.info del 2 marzo 2020
sintesi di Alessandro Bruni
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