Costretti in casa dovrebbe aumentare la capacità di “pensare” in una società in cui parlavamo e scrivevamo molto (anche troppo, specie sui social) ma spesso senza una vera capacità “pensante”. Pensare è sviluppare una propria (articolata) riflessione interiore e non un semplice rispondere del “più o del meno”. C’è chi parla moltissimo ma senza mai pensare per un intero giorno.
Come ben scrisse Maria Zambrano “Succede quando ci chiedono, sia che siamo studenti o maestri, che la prima cosa che si sperimenta sia un sussulto, come sentirsi sorpresi -in flagrante-, come se avessimo trascurato qualcosa, o, perlomeno, dimenticato. E anche può accadere che, trattandosi di una domanda per la quale disponiamo di un’adeguata risposta, che al sussulto segue un vuoto della mente. Nulla è più sbagliato, per uscire da questa situazione, di sforzarsi per uscire da essa. C’è da stare in questo vuoto della mente con un cuore fermo. E allora, solo allora, affiora la risposta, una risposta, tuttavia, più precisa di quella che credevamo di avere. Tra la domanda e la risposta deve esistere, nel mezzo, un vuoto, una sospensione della mente, una certa sospensione del tempo. Per varie ragioni, ma prima di tutto per questa: il cuore deve assistere, nel vero senso della parola, all’atto del rispondere. Senza l’assistenza del cuore, la persona non sta mai del tutto presente.”
E’ quindi evidente che in una società frenetica, veloce è il pensare che rischia di naufragare. Già 30 anni fa James Hillman disse che i giovani americani cominciavano a parlare tra loro con sigle, acronimi e stava scomparendo il bel linguaggio. Un’anticipazione degli emoticon e dell’attualità, grave soprattutto per noi Italiani che abbiamo una delle lingue più belle e colte (e ancor più i dialetti massimamente espressivi).
Costretti a casa come bambini che l’hanno fatta grossa, abbiamo finalmente tempo per pensare -per esempio- a “cosa ci sta succedendo”.
In rete circola la bella poesia di Mariangela Gualtieri 9 marzo 2020 che inizia dicendo: “Questo ti voglio dire/ci dovevamo fermare./Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti/ch’era troppo furioso/il nostro fare. Stare dentro le cose./Tutti fuori di noi./Agitare ogni ora –farla fruttare-…”. Il messaggio (non so se spirituale o meno) è chiaro: rallentare, non parlare (anche per non aprire la bocca al virus), silenzio, non agitarsi. Il poeta Tiziano Scarpa ci consiglia (con umorismo) di non usare le consonanti plosive (pi, ti, zeta, ci, effe, esse), spruzzi e spritz.
I tempi che si annunciano non è detto che siano più facili…i famosi soldi diminuiranno, faremo più debiti (che poi dovremo pagare perché non c’è nessuna America disposta a darci il piano Marshall), ci potrebbe essere una limitazione dei confini, diventare più malleabili e cattivi, pagare più tasse (oddio!), ma potrebbe anche essere che si ritorni (come nel dopoguerra) a un boom (lo aspettiamo da 30 anni), che il viaggio sulla Luna di Europa-Russia non sia rimandato ma cancellato, che si torni ad essere seri, a spendere per sanità, scuola, i poveri (quelli veri), i giovani e il lavoro, che capiamo che i “capri espiatori” sono inutili e che dobbiamo occuparci di ciò che non va ed essere tutti più umani, aiutarci e tornare ad abbracciarci dal vivo (già si vedono padri che giocano coi figli). E come il poeta dialettale Bruno Zannoni conclude (in ferrarese) una sua “zirudella”: “…Forsi, si, questa vicenda/d’stemergenza acsì tremenda/la pò insgnar, co i so guai,/ che j’è j’Ờman tuti uguai/e che quel che, al mond, al conta/(la parola, mi, a l’ò pronta,/ mò anch vu a savì zà!):/si, l’è “Solidarietà”. Quella fratellanza di cui hanno bisogno gli emarginati (profughi, poveri,…) ma anche noi Europei. Come dice un proverbio africano “Quando gli elefanti (Cina e Usa) combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata”. I rischi sono alti ma anche le opportunità se saremo più uniti e investiremo di più in welfare, lavoro, eguaglianza, Natura e, quando il vaccino verrà trovato come primo, fraterno gesto, finita l’emergenza sanitaria, pretendere che non sia pagato, il primo “bonus mondiale” che inaugura un nuovo mondo.
scritto da Andrea Gandini