Uno dei successi della Germania nel contenere il virus (96 morti per milione di abitanti rispetto ai 533 dell’Italia, come dire per l’Italia 5.700 morti anziché 32mila) è stato ricostruire le catene di contatti dei malati di Covid fin dall’inizio dell’epidemia usando non le App, ma l’antico e sempre valido impiego delle persone. L’uso delle persone nel “tracciamento” si sta rivelando molto più efficace delle App su telefonino, perché tutte le tecnologie sono all’inizio ancora “grossolane” (per es. la pillola anti concezionale aveva nel 1961 un dosaggio 200 volte superiore all’attuale). Ma ci sono anche altri fattori: una App efficiente implica un internet diffuso che in Germania ed Europa tra gli anziani è poco sopra il 60% (e se non arrivi almeno al 60% non funziona), se tieni lo smartphone in tasca i corpi possono fare da barriera, favorisce le proteste (in crescita) per l’uso di dati personali perché molti cittadini non si fidano, ma soprattutto è meno efficace dei tracciatori umani, come dimostra l’esperienza della Corea del Sud.
L’individuazione repentina delle infezioni, in modo da circoscrivere la diffusione del virus e spezzare prima possibile le catene di contagio, è stata fatta in Germania usando circa 20mila persone (gestita dai singoli Länder). Nonostante un numero di contagi molto simile all’Italia, questo sistema è riuscito a gestire la crisi in maniera abbastanza efficiente, rapidità di individuazione dei positivi, cure dei malati nei primi giorni a casa (evitando l’assalto agli ospedali), livello di letalità molto basso. Ciò ha consentito di mantenere attive gran parte delle imprese e di limitare le restrizioni alle libertà dei cittadini che sono stati educati gradualmente alla cultura del “Kontactverböt” (vietato il contatto).
Uno sforzo di questo tipo è stato possibile anche grazie alla disponibilità di laboratori in grado di effettuare i test: la Germania ha scelto un approccio decentralizzato, che ha puntato molto sulle strutture locali e sul contributo dei medici di famiglia, garantendo una copertura già a fine marzo di 160mila test a settimana.
Una volta accertata la positività, al malato vengono poste una serie di domande, con l’obiettivo di comporre una lista di tutti i contatti che ha avuto per più di 15 minuti. Ciò che è pericoloso non è infatti un contagio fugace –anzi questo potrebbe essere, paradossalmente, positivo perché attiva anticorpi in presenza di una bassa carica virale- ma un contatto di lunga durata che (se si è positivi) aumenta la carica virale. I contatti analizzati sono quelli avuti dal paziente fino a due giorni prima dell’insorgere dei sintomi e in caso di quarantena dura quindici giorni. Questi, a loro volta, dovranno tenere un diario dei propri sintomi – qualora si presentassero – ed annotare tutti gli incontri avuti: in caso risultino anch’essi positivi, il ciclo ricomincia.
In Germania, nonostante gli ottimi risultati della lotta contro il virus e il limitatissimo lockdown, stanno crescendo le proteste contro le restrizioni legate al coronavirus, con cortei e manifestazioni in molte città tedesche, il che dimostra quanto sia necessario equilibrare misure che pur tutelando la salute hanno una restrizione senza precedenti sulle libertà. Se da un lato la Germania sta lentamente ripartendo, aprendo non solo bar e ristoranti ma addirittura il campionato di calcio, dall’altro i tedeschi iniziano ad essere molto insofferenti delle limitazioni imposte dal Governo e dai Länder.
In Italia a che punto siamo coi tracciatori? Il Governo il 30 aprile ha fissato un numero di tracciatori non inferiore a 6mila e secondo l’Istituto Superiore di Sanità sono circa 20mila i potenziali operatori sanitari coinvolgibili in questo lavoro. Poiché i nuovi assunti sono 24.528 di cui 5.610 medici e 11.564 infermieri (più altri 7.354 operatori) non ci dovrebbero essere problemi di personale. A Vò Euganeo (dove non aspettano lo Stato) hanno usato dei neolaureati in medicina per ricostruire i 66 contatti dei positivi. In piccolo è la stessa tecnica adottata dai SudCoreani che non hanno usato l’App, ma un esercito di tracer, i quali basandosi sui Big Data sono stati in grado di risalire a tutti i contatti.
Come dice il professor Crisanti, che ha condotto lo studio a Vò Euganeo, “se solo ci fossero i tamponi e si facessero a parenti, colleghi di lavoro, vicini di casa e contatti stretti si cattura il 90% dei potenziali contatti, mentre l’App - è sempre Crisanti a parlare-, per come è stata concepita permetterà di rilevare solo il 9% degli incontri con i positivi”. Insomma touch batte tech. Chi ha sperimentato come favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro giovanile sa da molto tempo, quanto più efficace sia far incontrare faccia a faccia entrambi gli attori e potersi scegliere reciprocamente, ma l’infatuazione per la tecnologia è oggi tale che si crede (in tutti i campi) che la modernità coincida con “più tecnologia”.
Non siamo contro le tecnologie ma il “troppo stroppia”: robot, on line, distanziamento possono aiutarci se la vita vera mantiene al centro le relazioni sociali su cui si fonda la nostra umanità che non può esserci sottratta con la scusa della bio-sicurezza in maschera con App.
scritto da Andrea Gandini