Chi si prende cura di una persona anziana in famiglia, vive in un vortice di emozioni, tra ansia, rabbia e preoccupazione continue. Col progredire dell'età può iniziare un processo di deterioramento più o meno rilevante che comporta nella gestione familiare un alto grado di stress dei componenti sempre in bilico tra l'affetto e la propria resilienza.
Ai vertici dell'impegno familiare rimane il morbo di Alzheimer. Senza dubbio la conoscenza di questa patologia può aiutare la gestione anche dell'anziano senza una espressa conclamata patologia di Alzheimer. Così come la conoscenza delle patologie tumorali determina una migliore prevenzione e assunzione di comportamenti proattivi verso familiari non espressamente sintomatici.
Vivere in famiglia con un grande anziano (oltre la soglia degli 85 anni) è oggi situazione abbastanza comune e lo sarà maggiormente nei prossimi anni per esito demografico, per la crisi dello Stato sociale e dato che il ricorso a ricoveri in Rsa sarà sempre più dedicato ad anziani non più gestibili in ambito familiare. La pandemia di Covid-19 ha messo in rilievo e riproposto la gestione del malato al proprio domicilio, un tratto sociale che sarà sempre più incrementato nel futuro welfare socio-sanitario.
Il morbo di Alzheimer è una malattia degenerativa caratterizzata da graduale perdita della memoria e deterioramento delle funzioni cognitive. Attraversa normalmente 3 fasi (lieve, media e grave) e, nella forma più grave, arriva a compromettere le attività della vita quotidiana della persona. E' una patologia che evolve lentamente e che determina un lungo tempo di gestione sia familiare (nella forma lieve) che in Rsa (nelle forme più gravi). I tempi lunghi di evoluzione della forma lieve esigono un impegno familiare molto importante, non facilmente affrontabile e non sempre eludibile.
Il familiare caregiver si ritrova a dover affrontare un anziano “problematico” che diviene sempre più un "buco nero" che assorbe energie e stravolge la vita familiare: pensate ai casi sempre più numerosi di genitori che hanno avuto figli sulla soglia dei 40 anni e che 55enni si trovano a dover gestire in famiglia contemporaneamente figli adolescenti e genitori ottantenni... Due "mine" sociali innescate che compromettono fortemente la tenuta familiare.
Proviamo a fare un esercizio di conoscenza e di interiorizzazione per essere preparati a dover affrontare il problema di vivere con un ultraottentenne con una lieve compromissione cognitiva, ovvero la situazione sociale familiare più frequente. Lo facciamo analizzando quale dovrebbe essere il comportamento di un caregiver familiare in presenza di un anziano con lievi sintomi di Alzheimer.
E’ fondamentale ricordarsi che la persona a noi cara non ci sta prendendo in giro, ma commette degli errori e potrebbe anche alternare, sempre più frequentemente e senza logica, azioni corrette a sbagli, a causa della patologia che l’ha colpito. Per fronteggiare al meglio questi cambiamenti improvvisi, si può far riferimento a due modalità comportamentali:
- E’ importante tenere in considerazione i comportamenti positivi che la persona anziana attua, al fine di rinforzare e favorire la loro ripetizione nel tempo. Se, ad esempio, il papà grida tutti i giorni ad una determinata ora, invece di rimproverarlo, sarebbe meglio ricompensarlo quando non attua tale comportamento. Le ricompense possono essere di vario tipo: un gesto di affetto e un sorriso, prestare particolare attenzione, fare qualcosa insieme o donargli qualcosa che gli piace (ad esempio il suo cibo preferito, un oggetto che gli piace).
- Un altro atteggiamento consigliato è quello di non considerare i comportamenti negativi nel momento in cui si verificano. Riprendendo l’esempio di prima, se il papà anziano è solito gridare tutti i giorni ad una determinata ora per richiamare l’attenzione, ignorare le sue grida o ridurre l’attenzione nei suoi confronti, nel momento in cui emette il comportamento, potrebbe essere una modalità per diminuire tale comportamento.
In linea generale, pur tenendo sempre presente che ogni persona è diversa ed è inserita in un ambiente differente, si possono osservare alcuni semplici accorgimenti per favorire una migliore interazione e relazione con il proprio familiare. Accorgimenti che dalla sola lettura fanno capire la complessità della gestione di un anziano anche lievemente compromesso:
- Non usare un linguaggio troppo complesso, evitando frasi lunghe usando un tono pacato, chiaro e comprensibile, utilizzando termini semplici. Non stare di fianco alla persona cara quando lei parla o, ancora peggio, dandole le spalle. Cerca di porti di fronte al tuo familiare per essere sicuro di catturare la sua attenzione e quindi di essere ascoltato correttamente, guardandolo negli occhi e sorridendogli.
- Non arrabbiarti eccessivamente per i suoi comportamenti, sottolineando le difficoltà. Ricordati che si tratta di “sintomi” della malattia e non di “volontà” (non sbaglia di proposito e nemmeno per fare un dispetto). Pertanto arrabbiarsi potrebbe provocare ulteriore disagio e smarrimento nel tuo familiare, che non può comprendere la tua rabbia.
- Non mettere la persona con Alzheimer in una condizione di scelta, poiché potrebbe non essere in grado di gestirla correttamente. Prepara, per quanto possibile, una situazione accogliente, cucinando, ad esempio, i suoi piatti preferiti e preparandogli gli indumenti da indossare, disposti già nell’ordine corretto.
- Non spostare i suoi oggetti di uso quotidiano perché una persona colpita da Alzheimer non ha la capacità di ricordare le nuove collocazioni degli oggetti che utilizza abitualmente. Per facilitare l’orientamento spazio-temporale, mantieni il più possibile intatte le abitudini del tuo familiare, così come sono sempre state.
- Non correggere eventuali errori verbali e non verbali: cerca di stimolare la comunicazione, ad esempio aiutandolo con i termini che non ricorda. Fai attenzione a non perdere la pazienza e a non finire le frasi al suo posto: meglio utilizzare frasi come “Volevi forse dirmi che…”
- Evita di sottolineare ogni errore: potrebbe aumentarne il senso di frustrazione:: cerca di stimolarlo aiutandolo con dei piccoli suggerimenti, invece di sgridarlo.
- Non dare per scontata la perdita delle sue capacità residue: stimola il tuo caro con piccole e semplici azioni quotidiane. Ad esempio provando a fargli scrivere la lista della spesa, qualche piccolo calcolo o a leggere qualcosa di semplice. Qualora ci si rendesse conto che non è più in grado, non insistere, ma fai una segnalazione al medico di riferimento.
- Non lasciare in giro oggetti nuovi che, se non riconosciuti, potrebbero diventare fonte di pericolo oppure creare ansia: cerca di rendere l’ambiente in cui vive il tuo caro, il più idoneo e accogliente possibile al fine, ad esempio, di facilitare l’orientamento nelle stanze.
- Evitare di creare penombra nelle stanze, poiché potrebbe causare spavento e agitazione: garantisci, per quanto possibile, un ambiente illuminato e ben visibile.
Tra le conseguenze più comuni dell'Alzheimer, anche il wandering, il vagabondare cioè senza meta, dentro e fuori casa. Soprattutto la notte, quando i controlli si fanno più difficili.
Tante le possibili cause scatenanti: troppi stimoli ricevuti dall’ambiente (rumori di pentole in cucina, conversazioni nelle vicinanze), effetti collaterali di farmaci, perdita di memoria e disorientamento, tentativi di esprimere emozioni come la paura o l’isolamento o trovarsi in una nuova situazione o ambiente.
Wandering di notte: quali consigli per la mamma con Alzheimer
- Paola ha 52 anni e, dopo la diagnosi di Alzheimer della mamma Enrica, è tornata a vivere accanto a lei, con tutta la famiglia. In particolare da quando si è manifestata uno dei comportamenti più preoccupanti della malattia, il “wandering”, letteralmente “vagabondaggio”. Paola si è trovata improvvisamente a dover “ribaltare” la propria vita, trasferendosi dalla mamma che non vuole lasciare la propria casa, l’unico luogo in cui ha qualche riferimento e chiedendo qualche permesso di troppo in ufficio. Ma è sempre preoccupata: di non fare abbastanza, di non essere presente a sufficienza.
- Enrica, 78 anni appena compiuti, da qualche mese tende a lasciare le sicure mura domestiche ad orari casuali, per addentrarsi in luoghi sconosciuti, senza ragione apparente e spesso poco vestita. Soprattutto la notte, quando i controlli si fanno più difficili.
Dietro il wandering potrebbe risiedere proprio un desiderio di comunicare dopo aver perduto le capacità di linguaggio. Il genitore anziano potrebbe, infatti, voler trasmettere la propria idea di sentirsi perduto. Potrebbe anche segnalare bisogni primari come la fame o la sete, il bisogno di muoversi liberamente o l’esigenza di riposarsi.
Tra le cause scatenanti, ad esempio, ci sono i troppi stimoli ricevuti dall’ambiente (rumori di pentole in cucina, conversazioni nelle vicinanze). Ma non solo. Il wandering potrebbe inoltre essere connesso a effetti collaterali di farmaci, perdita di memoria e disorientamento, tentativi di esprimere emozioni come la paura o l’isolamento, curiosità, irrequietezza o noia, stimoli esterni che agiscono sulla routine (vedere un cappotto o degli stivali vicino alla porta d’ingresso), trovarsi in una nuova situazione o ambiente.
Per li caregiver mantenere la soglia dell’attenzione 24 ore su 24 è pressoché impossibile: si può, tuttavia, recuperare una certa serenità nelle prime fasi della malattia con alcuni accorgimenti ad hoc:
- Cerca di capire le cause del wandering. Appendendo, ad esempio, delle foto descrittive sulle porte delle varie stanze in caso di disorientamento, (utili quando, ad esempio, l’anziano genitore è alla ricerca del bagno). Se la persona sta cercando un famigliare, invece, può essere utile mostrare un album di famiglia e condividere i ricordi.
- Fai attenzione alle abitudini della tua mamma. Il Wandering può diventare routine. Se noti che il tuo caro tende ad uscire sempre alle 6 del pomeriggio, forse perché crede di dover tornare a casa dopo una giornata di lavoro. In questo caso è utile pensare ad alcune distrazioni da pianificare in quell’orario, reinventandosi un’abitudine, come una partita a carte o sintonizzare la tv su un determinato programma di suo interesse e gradimento.
- Crea un ambiente sicuro e protetto. Attraverso accorgimenti apparentemente banali: rimuovere tappeti, fili elettrici e i vari ostacoli che possono portare a inciampi e cadute; posizionare i mobili, in modo da creare più spazio libero, usare pomelli a prova di bambino, o lucchetti di apertura/chiusura posti un po’ più in alto del solito; per quelle stanze della casa potenzialmente pericolose, è consigliabile nascondere la porta con un quadro o una superficie che si confonda con i muri, per limitare il possibile desiderio di voler entrare nelle stanze.
Il wandering notturno è, per definizione, quello più difficile da controllare e che genera una maggiore ansia nel caregiver. Nel caso in questione, Paola finisce col passare più ore sveglia che a riposo. E lo stress aumenta di giorno in giorno, con conseguenze importanti sul lavoro e la quotidianità.
Come tentare di affrontare il problema?
- Cercare il modo di rendere il girovagare notturno del malato privo di pericoli. Possono essere utili delle apposite luci o dei cancelli davanti alla tromba delle scale. Se non è possibile, oppure quando la cucina è sullo stesso piano della camera da letto, è buona norma chiudere a chiave la porta della cucina durante la notte. Si tratta di un luogo estremamente pericoloso per una persona con Alzheimer, specialmente quando non è sorvegliato.
- Limitare i sonnellini del malato durante il giorno e mantenerlo attivo. Cercare di scoprire se l’insonnia ha qualche causa specifica (troppa luce, confusione, sonnellini durante il giorno, letto scomodo e così via). Far bere un po’ di latte per conciliare il sonno.
scritto da Alessandro Bruni con spunti tratti da villagecare.it, dailycaring.com, alzheimer.it