Il recente intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini ha posto, con sereno rigore, i termini reali dell’Italia di oggi, alle prese con l’occasione storica, probabilmente unica, di una eccezionale disponibilità di risorse europee, per affrontare i suoi problemi storici e strutturali, necessari a rientrare in un percorso virtuoso di sviluppo economico e di equità sociale, da quale si è progressivamente allontanata negli ultimi anni.
Draghi ha detto chiaro che le condizioni indispensabili per raggiungere questo obiettivo sono la consapevolezza che di fronte agli effetti sanitari, economici e sociali del Covid, dopo le giuste misure di emergenza, per salvare il tessuto del nostro sistema, è necessario guardare oltre e ricostruire un quadro che leghi gli obiettivi di lungo periodo con quelli a breve per dare certezza a famiglie e imprese.
Il maggior debito pubblico, derivante dall’utilizzo delle risorse europee, sarà sostenibile se verrà utilizzato a fini produttivi tramite investimenti in capitale umano, infrastrutture strategiche, ricerca. Sarà un debito buono e di qualità, se saprà favorire la crescita e politiche economiche e sociali capaci di rispondere positivamente al cambiamento in atto nella società, come i nuovi bisogni di salute connessi all’invecchiamento della popolazione, e lo sviluppo e il governo della digitalizzazione, accelerata dalla stessa pandemia.
Ma la priorità per poter raggiungere questi obiettivi, specie nel lungo periodo, rimane l’investimento nell’istruzione e, più in generale nei giovani che saranno i protagonisti della società di domani. Una priorità che ha anche una ragione morale perché il debito senza precedenti che stiamo creando dovrà essere ripagato dagli stessi giovani.
La reazione del Paese è stata in larga parte positiva, accompagnata spesso dall’obiettivo implicito di un suo impegno diretto nel governo del Paese. Ma è durato lo spazio di un giorno e poi la politica italiana è tornata alla scriteriata agenda quotidiana fatta, da una parte, di alleanze affermate e poi disattese, e di una guerra al governo, condotta con tutti mezzi, tranne che con gli strumenti del confronto politico, dall’altra. In tal modo il Paese si appresta, nel modo peggiore, all’impegnativo appuntamento dell’autunno nel quale dovrà definire il proprio futuro.
A dimostrazione di ciò, valga per tutti, l’atteggiamento al Meeting del popolo di CL che, dopo aver apprezzato l’intervento di Draghi, ha tributato scroscianti applausi a Salvini che sostiene esattamente l’opposto. Con questa spensierata irresponsabilità stiamo affrontando anche le elezioni in sette Regioni con una miriade di liste civiche e di candidati che rendono evidente come la politica stia diventando sempre più una lotteria nella quale può anche avvenire, per una qualche coincidenza, di essere eletti.
La situazione drammatica del Paese, con le decisive, prossime prove, appare un orizzonte sfuocato, a cui dedicare un qualche pensiero residuo, del tutto insufficiente per costruire risposte minimamente efficaci. In tale contesto non si capisce perché Draghi dovrebbe farsi direttamente carico di problemi che l’insieme della politica italiana colloca in secondo piano.
scritto da Luigi Viviani