La ripresa postferiale si presenta con il governo diviso e incerto su come affrontare l’appuntamento referendario ed elettorale del 20-21 settembre, mentre non si registrano apprezzabili passi in avanti sulla strategia di utilizzo delle ingenti risorse europee a disposizione. Un evidente divario tra i problemi da affrontare e la concreta possibilità di risolverli.
Dopo che la piattaforma Rousseau aveva approvato la possibilità di allearsi con i partiti, l’intesa elettorale con il Pd è saltata, al punto che nel M5S si manifestano nuovi venti di scissione. Nello stesso tempo l’accordo sul referendum che prevede di votare sì sulla riduzione del numero dei parlamentari e di approvare la riforma elettorale proporzionale è ferma per la resistenza dei grillini e di Italia Viva su quest’ultimo punto.
Sulla questione, Conte, il cui ruolo dovrebbe essere risolutivo, nicchia rinviando il tutto ad un futuro indeterminato. Una situazione che colloca sulle spine il Pd che, per mantenere in piedi il governo, ha accettato il Sì al referendum con la contropartita della riforma elettorale. Senza questa, o almeno senza il voto favorevole su di essa in una Camera, il Pd rischia di diventare l’agnello sacrificale che dopo aver votato una riforma costituzionale che non condivide, rimane con un pugno di mosche in mano.
Questa prospettiva il Pd non è in grado di accettarla per cui il governo rischia grosso senza che Conte e i 5 Stelle dimostrino di rendersene conto. Una coalizione di governo, per quanto anomala e stiracchiata, deve fondarsi sulla reciproca consapevolezza dei margini di manovra dei diversi componenti. Quando questa manca o è sottovalutata, gli incidenti di percorso decisivi, possono verificarsi anche su questioni che si considerano non determinanti.
Nel caso del governo Conte 2 appare chiaro che l’accoppiata taglio dei parlamentari e riforma elettorale rappresenta una mediazione senza margini per il Pd, e non acquisirla lo mette nella condizione insuperabile di riprendersi la sua libertà. Tra l’altro, questa indecisione della maggioranza sta mettendo in moto nuove spinte verso il No che oltre ai partiti di governo stanno coinvolgendo anche l’opposizione che, intravedendo la possibilità di far cadere il governo. è tentata, esplicitamente o nel segreto dell’urna, di contribuire al successo del No per raggiungere l’obiettivo politico al quale sta finalizzando ogni battaglia.
L’esperienza politica ci insegna che, in generale, i motivi della caduta di un governo corrispondono alla qualità della sua azione. Nel nostro caso, a meno di ravvedimenti dell’ultima ora, la possibile caduta acquisterebbe i caratteri di un suicidio politico per incapacità di percepire il valore e le conseguenze delle proprie scelte. Una sanzione inequivocabile dei limiti di una classe dirigente.
scritto da Luigi Viviani