Di fronte alla crisi devastante, sanitaria e politica, creata dal Covid, per lungo tempo si è evocato, con dibattiti e libri, il positivo atteggiamento di assunzione di responsabilità della società italiana durante la ricostruzione al termine della seconda guerra mondiale.
Quella che fu la causa fondamentale del successo di quell’impresa, e che diede luogo, durante i successivi trent’anni, a un periodo di eccezionale sviluppo economico e sociale, sembra avere scarsa fortuna nella ripartenza che il Paese è chiamato a realizzare nel prossimo futuro.
Nonostante la presenza di ingenti risorse europee, analoghe e superiori in quantità di quelle del Piano Marshall di allora, Il governo sta dando un cattivo esempio non avendo ancora deciso nulla circa la direttrice strategica lungo la quale orientare l’Italia del futuro, aggravato dagli inutili Stati Generali accantonati e dimenticati. L’opposizione non riesce a staccarsi dalla tradizionale critica pregiudiziale e demolitoria del governo in termini di becera propaganda condita da scelte estremiste antimigranti e antieuropee.
Le Regioni, anziché partecipare attivamente, con la definizione dei piani di sviluppo dei loro territori, al gravoso compito del governo, sono diventati elementi di distinzione e contestazione delle politiche di quest’ultimo, spesso in funzione delle scelte dei partiti della loro maggioranza, e preoccupate soprattutto di rivendicare il più possibile nella spartizione delle risorse europee. Gli enti locali, sempre più condizionati dal centralismo regionale e dalla conseguente penuria dei loro bilanci, spesso non riescono a far fronte alle funzioni essenziali di cui mantengono le competenze.
La stessa società civile guarda e critica, anche giustamente, i limiti della politica e delle istituzioni alle quali rivendica sostegni e servizi, ma si guarda bene dall’assumersi la responsabilità di un impegno diretto per contribuire al risultato comune.
Basta, ad esempio, constatare la posizione delle parti sociali per rendersi conto di quanto ciò sia vero. Imprenditori e sindacati chiedono tutti al governo la definizione di un patto sociale per far fronte ai nuovi problemi della ripresa ma non riescono a offrire un reale contributo nelle rilevanti materie di loro diretta competenza come l’innovazione e la produttività del sistema produttivo e la formazione e le condizioni dei lavoratori, attraverso un’intesa contrattata anche, se necessario, con un adeguato conflitto.
Prevale purtroppo la più facile scorciatoia della rivendicazione e della rendita aspettando che il governo risolva i problemi. Non sappiamo quale saranno le scelte che nelle prossime settimane il Paese sarà in grado di compiere, ma con queste premesse è lecito non aspettarsi poco di buono.
scritto da Luigi Viviani