di Giuseppe Stoppiglia.
Ieri e oggi, Eppur vive
Primo passo
Essendo io un prete, formato per dieci anni in seminario, dove si affermava e si insegnava che l’ordinazione ci faceva “ontologicamente” diversi dagli “altri”, ho avvertito la necessità di un cammino per ricostruire un mio pensiero e una mia prassi che fossero liberazione dalla “cultura del privilegio” della casta sacerdotale, dentro una chiesa “istituzione totale”. Chiesa che chiede di continuo libertà per sé, come istituzione monarchica, ma che difficilmente ammette spazi di libertà, autonomia, diversità al suo interno.
La richiesta di libertà da parte della chiesa, nella linea della cultura del privilegio, è frutto della sfiducia e del poco rispetto della realtà complessa e pluralista dentro la quale la chiesa è posta. Si produce così una specie di bipolarismo o contrapposizione, in cui la “posizione della chiesa” è il criterio di “verità e validità” su cui il “resto” della realtà viene valutato.
Se sono convinto che la mia confessione di fede è depositaria della verità, allora le altre confessioni, le altre religioni e non religioni sono false e non possono essere che tollerate in nome della laicità dello Stato, che è per principio (e con il consenso di tutti) senza religione. Ciò a cui bisogna dapprima rinunciare, è ad un rapporto possessivo della realtà; dire: io non ho la verità, ma spero di essere nella verità.
Secondo passo
Non posso sperare di essere io stesso nella verità senza sperare e senza credere che anche voi, che non credete ciò in cui io credo, siate, in un modo che non so, nella verità. E questo modo io non posso saperlo in virtù del carattere limitato di ogni comprensione.
Quest’altra parte della verità non posso che presentirla, riconoscerla lateralmente, di sbieco in qualche modo, senza poter paragonare dal di fuori la credenza dell’altro e la mia. Il modo peggiore d’incontrare l’altro è di annullare la sua intenzione di verità contemporaneamente alla mia.
Non esistono convinzioni, ma opinioni così differenti che divengono indifferenti. Ogni dialogo, allora, sparisce perché non c’è più confronto, e non c’è più confronto là dove non c’è più convinzione.
So che questo paradosso è difficile da considerare. Ma non è questa “la verità nella carità”, dono eccellente dello Spirito? Lo Spirito è uno, ma nessuno sa donde soffia il vento.
scritto da Giuseppe Stoppiglia, pubblicato in Madrugada 36, dicembre 1999