di Giovanni Foschi.
Nel decennio 2009-2018 circa 250.000 giovani (fra 15 e 34 anni di età) hanno abbandonato l’ Italia (saldo partenza/rientri); contemporaneamente la popolazione italiana sta diminuendo: si fanno pochi figli e il saldo tra nati e morti è negativo da parecchi anni; calano i giovani e aumentano gli anziani. L’Istat prevede che nel 2038 gli over 65 saranno un terzo della popolazione.
Il Covid-19 ha messo in risalto, se ce ne fosse stato bisogno, la sensazione che manchi una visione e un progetto che possano rendere il nostro paese più vitale e fiducioso nel futuro. Come minimo dovremmo cercare di giocare non in rimessa, di non andare a rimorchio.
Da una parte ci sono gli anziani definiti “fragili” e a “rischio” dall’altra ci sono i giovani accusati di “portare a casa” il Covid , sì perché da noi l’organizzazione sociale prevede che, pur non abitando tutti sotto lo stesso tetto, nonni genitori e nipoti abbiano momenti di coabitazione, assistenza e cura. Noi non siamo la Svezia né uno degli altri paesi del Nord Europa dove mediamente i figli escono di casa raggiunta la maggiore età se non prima.
Allora i fragili non sono solo gli anziani perché con essi sono coinvolti tutti i soggetti che fanno parte della cerchia famigliare. Gli anziani, in tanti casi, sono pure il sostegno economico di figli e nipoti.
E allora il cambio di paradigma?
Sarebbe facile dire che, se rinunciassi al vaccino a favore di un giovane, le cose non cambierebbero - mancherebbe il lavoro, i giovani se ne andrebbero e diventeremmo più poveri- ma è proprio così!
Per questo ho parlato di progettualità e di visione. Nel breve periodo alcuni mestieri scompariranno e altri subentreranno con conseguenti difficoltà occupazionali. Saranno necessari interventi nella formazione e nella scuola in generale. Già adesso, in tempo di Covd-19, la scuola arranca: invece di mandare a casa gli studenti, bisogna ridurre gli alunni per classe (assembramento/distanziamento) e prevedere un tempo in presenza e un tempo con DAD (socialità) e si può pensare pure ad orari differenziati (affollamento trasporti).
I giovani, da parte loro, sono invischiati in un mondo che tende a proteggerli: travaso di ricchezza da nonni e genitori finché durerà; reddito di cittadinanza; internet vissuto come esperienza glocale dove tutti i fruitori (non più solo giovani) si sentono cittadini del mondo e dove la “piazza” o il “muretto” di un tempo sono sostituiti da uno dei tanti social. Quando negli anni 90 abbiamo introdotto Internet nella scuola dove insegnavo si parlava di una tecnologia e di un mezzo per raggiungere uno scopo un fine, adesso il giocattolo si è trasformato in uno status in un modo di essere coinvolgente.
Quando gli studenti lamentano che con la DAD hanno perso la socialità, le occasioni di sentire le parole degli amici, di ammiccare, di stare a contatto … gli studenti dovrebbero prendere atto che il social di turno da loro frequentato e partecipato spesso manca esso stesso di quella socialità che cercano e non trovano nella DAD. Non sono un sociologo né uno psicologo, ma, da anziano, ho la sensazione che la scuola sia diventata col tempo uno degli ultimi luoghi di socializzazione!
Ho parlato di giovani protetti, ma ci sono naturalmente gli appagati dei successi professionali, delle felici condizioni famigliari e fiduciosi di un prospero futuro; questi non sono fragili, ma a questi si chiede di partecipare alla progettazione del futuro per l’intera società; non si tratta di rivoluzioni ideologiche e manichee contro qualcuno, ma di essere soggetti attivi e partecipi di un mondo nuovo.
Per concludere il cambio di paradigma non potrà essere una lotta fra generazioni, ma ogni generazione dovrà fare la propria parte compresi gli anziani.
scritto da Giovanni Foschi, pubblicato in CDScultura del 27 novembre 2020
segnalato da Alessandro Bruni