di Daniele Lugli.
L’immagine di copertina è una candelina, forse un fiammifero. È completamente nell’acqua, ma non si spegne. Dev’essere così se la persuasione di Aldo Capitini è giunta alla giovane Roberta, “persuasa” fin dall’incontro con Pietro Pinna.
In una formazione di giovani in servizio civile nella mia città sono stato invitato per un intervento “in remoto”. E remoto, nel tempo e nello spazio, mi sono sentito rispondendo a domande sugli anni ’60, sulla nascita del piccolo Movimento Nonviolento, sulla mia amicizia con Pietro Pinna. Di fronte alla domanda su che potessi consigliare ai giovani nell’attuale situazione ho detto che contavo su una risposta da parte loro. Io, alla loro età, avevo trovato nella nonviolenza un’indicazione che ho continuato a sentire valida in un tempo ormai molto lungo.
Avrei potuto fare di meglio, ma non avevo ancora letto il libro di Roberta Covelli “Potere forte. Attualità della nonviolenza”, uscito l’anno scorso. Adesso lo consiglio, ai giovani e non solo. L’autrice per età potrebbe essere in servizio civile. Il servizio l’ha già prestato ad Emergency. Mi aveva colpito, per freschezza e intelligenza, un suo intervento tre anni fa al congresso del Movimento “Coerenza, continuità, convinzione. La nonviolenza oggi – XXV Congresso Nazionale del Movimento Nonviolento” nella terza e ultima giornata. La lettura del suo scritto conferma quell’impressione. Mi fermo solo al titolo e all’immagine.
Il Titolo. “Potere forte” a me suona contrapposto a “Poteri forti”, locuzione – leggo – con cui si fa riferimento alle influenze oligarchiche. Influenze decisive e irresistibili. Quand’ero giovane – anni Cinquanta – non si diceva così. C’era piuttosto la FODRIA (Forze Oscure Della Reazione In Agguato). Guareschi prendeva in giro socialisti e comunisti preoccupati – giustamente – della coalizione di potenti economici, politici, militari, operanti fuori e contro la democrazia. Questi più che potenti – prepotenti – c’erano anche allora.
Capitini ce lo diceva negli anni Sessanta “Poche persone decidono della pace e della guerra, del benessere e del disagio di tutti. E chi controlla questi pochi potentissimi? Solo i gruppi di potere; la moltitudine non è presente”. E Lelio Basso negli anni Settanta: “La democrazia appare sotto assedio. Un pugno di manager di immense multinazionali fa e disfa quello che vuole. Gli altri miliardi di uomini sono complici o schiavi. Se si rifiutano, nella migliore delle ipotesi, sono emarginati e non contano niente”. Questa constatazione non li ha però mai distolti dal loro impegno fino all’ultimo.
Forse negli anni Ottanta è apparsa ed è dilagata l’espressione “Poteri forti”, straordinario alibi per ogni fallimento politico. Sono variamente individuati, così come i loro complotti: anche la pandemia ne fa parte. Da noi è diffusa l’identificazione con le istituzioni europee, fragili e incomplete ed assieme la più fondata speranza di preservare una convivenza civile. Che ci abbiano risparmiato la guerra – le guerre mondiali sono esplose in Europa – che i nostri Paesi siano la meta desiderata da tanti nel mondo non scuotono le convinzioni di questi contestatori. Dopo aver maledetto i poteri forti, annidati nelle burocrazie europee, si dedicano a rendere la vita impossibile a chi cerca rifugio o lavoro da noi e a chi l’ha trovato.
Certo preoccupa che le decisioni fondamentali siano prese da gruppi ristretti di potentati fuori da ogni controllo e che le conseguenze dei loro accordi e disaccordi ricadano sulla “moltitudine”, evocata da Capitini, impegnata a prendersela con i più sfortunati. Non sarà la FODRIA, né la criminalità internazionale organizzata sarà la SPECTRE – SPecial Executive for Counter-intelligence, Terrorism, Revenge and Extortion – dei film di James Bond, ma collusioni e complicità che emergono ulteriormente preoccupano. Di contro resta attuale ed efficace la proposta della nonviolenza come l’autrice documenta completando il titolo: attualità della nonviolenza. Sul testo, di nuovo ne raccomando la lettura, non mi soffermo. Una bella recensione di Enrico Peyretti può leggersi qui.
L’immagine di copertina è una candelina, forse un fiammifero. È completamente nell’acqua, ma non si spegne. Dev’essere così se la persuasione di Aldo Capitini è giunta alla giovane Roberta, “persuasa” fin dall’incontro con Pietro Pinna. Piero – così lo chiamavamo – chiedeva a noi di curare come un figlio il nostro piccolo movimento. L’invito mi colpiva perché il Movimento io, senza alcun merito, l’avevo visto nascere, con lui. Anche ci chiedeva di tenere acceso il lumicino della nonviolenza. Ce lo indicava come un compito necessario, indispensabile.
Qualcuno tra noi ha detto che l’incendio, che dovrà estendersi e divampare, va pure appiccato da un punto. Moltitudini debbono essere coinvolte nel pensiero e nella pratica della nonviolenza. Loro, coscienti e attive, possono sconfiggere la violenza diretta, culturale e strutturale dei “poteri forti”. Intanto la fiammella va conservata e trasmessa. È parte del fuoco che scalda e dà luce dell’apertura nonviolenta, come diceva Capitini, che Roberta Covelli ha ben letto su sollecitazione di Pinna. Mi ricorda Francesco d’Assisi, così amato da Capitini: “accendete una luce, e le tenebre fuggiranno spaventate”.
Dice Roberta: “Tutto ciò che la candela sa lo ha imparato nel buio”. È una luce critica, “Democrazia e liberalsocialismo”,1945: “Secondo me il liberalsocialismo deve essere il lievito della trasformazione sociale e una luce critica gettata sulle posizioni di sinistra; per la trasformazione sociale, in quanto la sintesi continuamente voluta di libertà e di socialismo è l’elemento dinamico che sovverte ogni irrigidimento e conservatorismo”.
In “Rivoluzione aperta”, 1956, c’è molto Danilo Dolci, amato dalla Covelli e da me – mi bastò un giorno a Perugia nel ’63 – “non possiamo con tutte le nostre poche forze (anche se, unendoci, siamo più forti) liberare il mondo da tutto il male. E allora torneremo indietro? non faremo nulla? ci faremo prendere dallo scoraggiamento? lasceremo le persone sfruttate, i vecchi trascurati, i bambini affamati, gli uomini senza lavoro diventare banditi, pazzi, malati? Niente affatto: noi faremo ciò che potremo, faremo molti passi, raccogliendo le nostre forze per andare verso la salvezza e la luce giusta per tutti… Noi abbiamo perciò davanti agli occhi la festa, che è la celebrazione amorevole della presenza purissima di tutti, viventi e morti, nella luce della realtà liberata dal dolore, dalla morte, dal male morale e sociale”.
È la festa del postumo “Omnicrazia: il potere di tutti”, 1968. “Alla luce dell’apertura nonviolenta alla compresenza riconosciamo il valore di esigenze rivoluzionarie, l’esigenza di autoliberazione della moltitudine del popolo, dei suoi strati sociali “inferiori” più profondi… La festa così diventa il sostegno più profondo del lavoro e del tempo libero, e come impastata con essi, un elemento, e come una luce, che li accompagna e li irrora…. La stessa bellezza di ciò che si può costruire localmente, provvedimenti, istituti, edifici, viene illuminata da una luce festiva che viene dall’orizzonte della compresenza e dell’omnicrazia”.
Leggete dunque Roberta Covelli in questo suo libro, nei molti scritti online, e ascoltatela e vedetela, sempre online. Con tempo a disposizione, un consiglio.
scritto da Daniele Lugli, pubblicato anche in Azione nonviolenta del 2 novembre 2020