di Giuseppe Stoppiglia.
Ieri e oggi. Eppur vive.
Confesso che sono stato travagliato da una crisi religiosa che mi ha accompagnato nel lungo cammino dell’esistenza. Voglio raccontarlo essendo nell’età in cui si perdono certi pudori che, visti da vicino, non sono poi che la paura di essere giudicati.
Sono stato educato nella chiesa cattolica in un’epoca, mai tramontata definitivamente, in cui prevaleva il linguaggio apologetico, che celebrava il cattolicesimo come fondatore di civiltà e anima dell’Europa, centro del mondo. Nella mia famiglia ricevevo la spinta a guardare il mondo dalla finestra della casa e, come ho scritto altre volte, le immagini che mi trasmetteva il mondo erano di violenza e di competizione.
Ciò che mi ha salvato dal pessimismo e da altre reazioni è stato quel luogo interiore, quell’invisibile e intraducibile Luce che non si spegne mai e che mi ha portato fin qui, continuando ad amare la vita e a non temere la morte. Direi di essere un cristiano animato da speranza, ma ho sempre sentito un’allergia profonda verso le opere d’apologetica.
La storia dell’Occidente cristiano contiene fatti e persone d’incontrovertibile grandezza umana, ma è anche vero che l’occidente cristiano non è un modello dell’evangelizzazione.
- Sulle comuni radici cristiane dell’Europa, la mia domanda è: la cultura europea è ancora cristiana?
- Come conciliare, infatti, la cultura cristiana che (soprattutto oggi nella sua accentuata contrapposizione alla cultura islamica) tutti individuano come forma dell’Europa e, per estensione, dell’Occidente, con il livello di ricchezza e abbondanza raggiunto dalle società occidentali?
- Come conciliare l’etica della moderazione, che il cristianesimo ci ha insegnato in tutta la sua storia, caratterizzata da un’economia di sussistenza, con l’opulenza offertaci dalla produzione e dal consumo di beni, dove la soddisfazione dei bisogni (e non la moderazione) è un fattore economico?
- Come si fa ad essere cristiani e quindi morigerati in un’epoca dove la società è aggregata dall’economia, che per la sua sussistenza non chiede moderazione, ma consumo e soddisfazione?» (U. Galimberti).
Per far esplodere la contraddizione di chi afferma che il Cristianesimo è una religione, mentre l’economia è una forma di scambio con cui si regola la produzione e la distribuzione dei beni, U. Galimberti insiste: «Il Cristianesimo è una morale (della moderazione) e l’economia è un’altra morale (della soddisfazione smodata): le due morali sono incompatibili, per cui parlare di un’economia cristiana ha lo stesso significato e spessore logico di un circolo quadrato», con buona pace di tutti i benpensanti che ritengono di poter far quadrare il cerchio.
Come si concilia tutto questo con il messaggio cristiano che parla di amore, di fratellanza e di aiuto ai più bisognosi della Terra? L’Europa forse non è più cristiana e la sua irreversibile laicizzazione è solo la conferma che il Cristianesimo in quella sua vera essenza che è l’amore per il prossimo, lontano o vicino che sia, in Europa non ha più casa, né chiesa, né luogo dove trovare espressione. Nel momento in cui la società è passata dallo stato di bisogno allo stato di soddisfazione smodata del bisogno, la morale del Cristianesimo ha finito la sua storia e quindi o emigra nel Terzo Mondo, dove vive la mortificazione del bisogno, o sparisce.
scritto da Giuseppe Stoppiglia, pubblicato in Madrugada n. 51 di settembre 2003
segnalato da Alessandro Bruni