di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
Le previsioni sulla caduta dell’occupazione nei Paesi europei nel 2020 dell’ultimo rapporto della Commissione Europea (5.11.2020) sono drammatiche specie per Italia e Francia: si prevede un calo del 10,3% degli occupati in Italia (-10,5% in Francia) rispetto ad una media UE di -4,5% e di -6,5% negli Usa.
Sarà invece meno dura la caduta nel resto d’Europa: Germania -1%, Spagna -8,7%, Svezia -1,7% e anche nel Regno Unito (-0,9%)). Se le previsioni dovessero essere confermate significa che in primavera prossima al termine del blocco dei licenziamenti avremo una crisi colossale e ci troveremo con qualcosa come 2 milioni di occupati in meno. Alcuni settori escono indenni dalla mega crisi: servizi pubblici, istruzione, grandi imprese con alto export, alimentari, agricoltura, banche, assicurazioni (e naturalmente i 16 milioni di pensionati).
Alcuni settori sono addirittura in crescita: finanza, sanità, e-commerce, servizi digitali o in cerca di personale come gran parte della manifattura (e dell’agricoltura). Altri invece sono duramente colpiti come commercio non alimentare, turismo, ristoranti, palestre, tutti i servizi personali e culturali e moltissime piccole imprese e quegli artigiani che hanno meno risorse per resistere rispetto alle grandi imprese.
Nel 2020 si stima che il risparmio delle famiglie sia cresciuto di quasi 100 miliardi e ciò potrebbe far ripartire alcuni settori ma per altri il danno è gravissimo o come perdita definitiva del lavoro o fallimento dell’impresa. Si può stimare che questa fascia di maggior sofferenza che non riesce a ricollocarsi da solo possa essere attorno a 500-800mila ex occupati.
Non si può seriamente pensare che i nostri servizi di collocamento (seppure rafforzati) siano in grado di far fronte a tale immenso compito. Per questo sono necessarie alcune modifiche che rendano, da un lato più rapido ed efficace il collocamento presso imprese in crescita di personale espulso e, dall’altro l’introduzione di misure che favoriscano le imprese nelle assunzioni.
Gli interventi da fare sono, a nostro avviso, due:
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introdurre il part-time per quegli anziani che si trovano negli ultimi anni di lavoro e che rappresentano un patrimonio professionale per l’azienda in modo da garantire da un lato alle imprese di non disperdere questo patrimonio professionale, dall’altro di creare spazi per l’assunzione di giovani o di espulsi da altri settori che inseriti, alla “base” delle strutture professionali, possono essere aiutati dall’équipe in cui sono inseriti a formarsi rapidamente (anche con una specifica formazione teorica esterna) in modo da diventare rapidamente produttivi;
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Integrare i navigator in modo strutturale dentro i servizi all’impiego delle Regioni per un’attività di allocazione di chi cerca lavoro, potenziando le fasi di individuazione delle imprese che cercano lavoro e di “incontro” ma in una logica in cui operano non come singoli ma come “équipe” e dotati di una nuova metodologia di matching come quella che è stata usata all’Università di Ferrara per l’allocazione dei laureandi. In cui si chiede alle imprese di assumere “idonei” da loro selezionati ma non necessariamente il “migliore”, in modo che vi sia una reciproca scelta tra impresa e chi cerca lavoro. Questa metodologia ha consentito di incrementare il numero degli allocati in quanto “spinge” le imprese ad uscire dai propri stereotipi e a individuare quelle nuove mansioni (e quindi nuovo personale) anche distante (apparentemente) dal proprio core business che agevola spesso innovazioni e nuova occupazione.
Ciò consentirebbe di ri-allocare moltissimi ex occupati espulsi da turismo, commercio, cultura verso nuovi servizi e la manifattura. Le esperienze che abbiamo condotto in alcune grandi e piccole imprese negli ultimi 20 anni dimostrano che questi processi sono possibili se si esce da comportamenti tradizionali e si guarda finalmente alle buone pratiche che ci sono in giro per l’Italia.
scritto da Andrea Gandini