di Giuseppe Stoppiglia. Eppur vive.
Eppure sono ancora tanti i giovani non allineati, in distonia con il sistema che li circonda. Ce ne sono purtroppo in costante eccesso di alcol e droga, magari fedeli al motto: «Se il mondo non funziona, io bevo e mi faccio», altri ancora abitano quel vuoto di significato da fine della storia, per cui «meglio esagitati e attivi che sprofondati in un mare di tristezza».
Ci sono, però, quelli che nella propria giovinezza non vogliono navigare a vista, come sono costretti a fare, dato che il mondo degli adulti non capisce più in che direzione sta andando, che ordine di valori sta difendendo. Una diffusa apatia e una sfiducia sottile hanno spogliato la generazione degli attuali adulti di precisi connotati. L’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, la televisione in particolare, ha attribuito loro una valenza di mercato prima che d’identità. Per cui “gli adulti” sono forse politicamente corretti, certamente economicamente produttivi, ma si guardano bene dal combattere per quello che è realmente giusto.
Non perché quello che è giusto sia davvero difficile da identificare, ma perché tutti gli aspetti della vita, da quelli nobili a quelli deprecabili, sono diventati semplici notizie televisive da inghiottire, senza neppure masticare.
Il consenso o il dissenso non avvengono più sulle cose, ma sulla descrizione di esse. I fatti contano infinitamente meno delle loro descrizioni. Ciò ha creato quel relativismo culturale che non consente la fondazione di alcun valore, nel senso che una cosa vale l’altra. La vita di ogni cosa ha la durata di una notizia.
Per la nostra vita morale il momento critico sorge quando si corrodono le istituzioni morali, inevitabilmente le rappresentazioni culturali della nostra vita perdono così senso. Se vivono una loro coesione interna si fanno credibili sia per la loro efficienza, sia per la ricchezza di significati che riversano sull’uomo collettivo e sulla coscienza dell’individuo. Si gode una specie di salute storica.
Quando le istituzioni scricchiolano, la famiglia non regge più, il bisogno affettivo travalica le frontiere familiari e diventa labile, promiscuo, incapace di accogliere come suo compito la stabilità e la permanenza.
La cultura perde le sue tavole di bronzo e diventa vaneggiamento, critica radicale al passato senza proposte per il futuro. Le ricchezze grondano iniquità e siamo costretti a riconoscere che non sono altro che l’indebito accumulo di refurtive immense. È lo smarrimento storico in cui siamo spettatori, ma anche vittime.
scritto da Giuseppe Stoppiglia, pubblicato in Madrugada n.40 del dicembre 2000