di Andrea Gandini. Economista, analista del futuro sostenibile.
In una bella intervista al Corriere della Sera, Larry Irving (65 anni, vice ministro del Commercio e delle Comunicazioni durante la presidenza Clinton del 1996) spiega come fu possibile la nascita degli attuali giganti del web senza norme che avrebbero poi consentito a quelle “piccole start up” di diventare giganti ed avere privilegi che altre imprese non avevano, come le esenzioni fiscali (incluso l’e-commerce senza tasse), l’attenuazione dei vincoli antitrust e soprattutto l’irresponsabilità degli operatori per i contenuti messi su internet che invece hanno tutti i giornali e le riviste del mondo.
Nel 1996 c’erano solo 30-40 milioni che usavano internet e poiché i “giganti” dell’informazione erano allora radio, tv e giornali, si temeva che questi uccidessero nella culla le piccole start up del web. Irving fa oggi un “mea culpa” e, a sua discolpa (e di Clinton che firmò le leggi), e ammette che furono favorite da una deregolamentazione che oggi va cambiata. Ma sono passati 24 anni e non era il caso di pensarci un po’ prima? Si può accettare che questi giganti consentano l’uso di manipolazioni dell’informazione da parte di molti dittatori in giro per il mondo e che non ci sia nessuna regolamentazione pubblica? Ora con Trump la questione è esplosa ma sono 20 anni che questi giganti privati scorrazzano in tutto il mondo senza pagare tasse e inquinando (ormai Amazon è ovunque e almeno ha cominciato a pagare qualche tassa ma solo in Usa).
Questa vicenda dimostra due cose.
La prima è che l’attuale globalizzazione avviata nel 1996 con la nascita di queste aziende del web (poi diventati giganti), con l’abbandono della legge che regolamentava la finanza (1999) e con l’entrata della Cina (2001) nel commercio mondiale (nell’ultimo trimestre del 2020 il pil cinese è cresciuto del 6,5%) si sono create le condizioni per distruggere il lavoro in Europa e Usa, arricchire soprattutto Cina-Asia e una élite di una ventina di milioni di miliardari in giro per il mondo (ma soprattutto in Occidente).
La seconda è che ciò è dovuto a una deregolamentazione che nulla ha a che vedere col pensiero di Adam Smith (1723-1790, il fondatore dell’economia), il quale non ha mai scritto (come la vulgata dominate ha sempre detto) che i “mercati (e la mano invisibile), siano migliori degli Stati e dei legislatori nel trovare la via più adatta allo sviluppo”. Questa è una caricatura perché Smith è stato un grande studioso di etica sociale e sosteneva che l’interesse personale si trasformava in bene comune (con benefici per tutti), ma solo se la zona di influenza della legge e della morale fossero state pari a quella del mercato e della mano invisibile. Un principio indiscusso ai tempi in cui scriveva il grande scozzese.
Questa parte del pensiero di Smith è stata appositamente cancellata per avere “mano libera” (altro che invisibile) e creare un libero commercio dominato oggi da grandi società globali, a loro volta sostenute dalla grande finanza che controllano quasi tutto e dove i mercati hanno il mondo intero come influenza, mentre le convenzioni morali e i vincoli legali valgono per una singola nazione o una specifica cultura. Ciò spiega perché l’efficacia politica del capitalismo democratico sia drasticamente diminuita negli ultimi anni e oggi la fiducia dei cittadini in tv, giornali e governi (come documenta il Trust Barometer 2021 di Edelman) sia caduta all’inizio del 2021 ai minimi termini nei 28 paesi dove si svolge l’indagine.
Ci sono invece migliaia di esempi di gestione di imprese e comunità che dimostrano che solo unendo l’imprenditorialità con la fratellanza e guidando il mercato con buone regole ci può essere sviluppo e uguaglianza. Qui la politica si deve cimentare se non vogliamo una grande regressione dell’umanità e impostare un nuovo mondo in cui:
- i vantaggi della “mano invisibile” richiedono l’esistenza di una forte struttura legale che deve essere indipendente dai più forti attori sul mercato;
- la teoria del vantaggio comparato non funziona automaticamente con il commercio dei capitali, perché il potere del capitalismo è pericolosamente asimmetrico e i grandi capitali avranno sempre un vantaggio comparato sui piccoli e molte innovazioni locali hanno bisogno di piccoli capitali;
- proteggere le culture, le specializzazioni e le politiche locali contro il potere immenso di big mondiali è utile per la diversificazione, l’innovazione e l’evoluzione dell’umanità.
scritto da Andrea Gandini